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Testi del Vedanta, dello Yoga e della tradizione Hindu.

Dal 2001 Visionaire.org è scritto, illustrato, pubblicato da Beatrice Polidori (Udai Nath)

Testi del Vedanta

Bhagavad Gita

Il Signore creò  il mondo, e volle proteggere la sua esistenza. In primo luogo fece i progenitori, guida delle genti (prajaa - Pati), a partire da Marichi, e  impartì loro la legge  (Dharma), caratterizzata dai precetti operativi  (pravRitti) descritti nei Veda. Poi creò Sanaka, Sanandana e altri, e impartì loro la legge della rinuncia all'azione (NIVRitti), dalla conoscenza e dal  distacco. Duplice è la Legge descritta nei Veda - una di azione e l'altra di rinuncia all'azione – con cui è retto il mondo. Questa duplice legge deve essere osservata da parte dei membri di tutte le classi, a cominciare dai Brahmana, per tutta la durata delle stagioni della vita, in quanto porta direttamente a ottenere la prosperità e la liberazione, il Sommo Bene.

Nel corso del tempo, a causa dell'egoismo di coloro che dovevano difendere legge, e la conseguente diminuzione della conoscenza discriminativa, l'ingiustizia divenne più potente e prevalse sulla legge. Volendo mantenere la stabilità del mondo, il Creatore primordiale, che tutto pervade, il Signore (Vishnu), chiamato Narayana, si incarnò e nacque da Devaki e da Vasudeva, come Krishna, al fine di ristabilire la legge divina dei Veda.  Solo se la Legge vedica è preservata, il suo spirito proteggerà la vita delle diverse classi di persone.

Ashtavakra Samhita

Tu non appartieni ai bramini, ai guerrieri né ad altra casta, tu non sei in alcuno stadio di vita, non sei nulla di ciò che i tuoi occhi possono vedere. Sei privo di attaccamento e di forma, il testimone di tutto - [dunque] sii beato, ora. Giusto e ingiusto, piacere e dolore appartengono soltanto alla mente e non ti riguardano. Tu non sei l'agente o il fruitore delle conseguenze [dell'agire]; tu sei sempre libero.

Tu sei l'unico testimone di tutto, completamente libero. La causa della sofferenza è nel ritenere il testimone qualcosa di diverso da questo. Finché sei stato ingannato dal nero serpente dell'opinione di te stesso, hai creduto stoltamente: "io sono colui che agisce"; ora dissetati col nettare dell'evidenza: "io non sono colui che agisce" e da subito sii felice. Brucia la foresta dell'illusione con il fuoco della conoscenza.

Mandukya Karika di Gaudapada

Mi inchino al Brahman che pervade l'universo con l'effusione della conoscenza, che pervade ciò che è mobile e ciò che è immobile, Colui che osserva tutto quello che può essere conosciuto nel mondo grossolano [durante lo stato di veglia], Quello per cui si sperimenta tutto ciò che nasce dal desiderio ed è illuminato dall'intelletto [durante lo stato di sogno], e che riposa nella Sua beatitudine e fa che tutti noi vediamo attraverso la Sua Maya, quello che, nei termini di Maya, è il Quarto [Turiya] e il supremo, immortale e non nato.

Turiya, il Sé dell'universo - che osserva i frutti della virtù e del vizio nel mondo grossolano, che conosce gli oggetti sottili creati dalla Sua intelligenza e illuminati dalla Sua luce e che riassorbe tutto questo gradualmente in Sé, e che abbandonata ogni differenziazione diviene privo di attributi – che possa Egli accordarci la Sua protezione.

श्रुति Śrūti

Ishavasya Upanishad

Il volto della Verità è nascosto da una maschera d’oro; rimuovilo, oh Conoscitore, perché trionfi la verità, perché sia veduto. O Conoscitore, o Veggente, o Ordinatore, Sole Illuminante, o Padre delle creature, apri i tuoi raggi divini, trattieni il tuo ardore, affinché io possa conoscere il tuo volto benedetto. L'essere luminoso che abita in te, quello io sono.

Brhadaranyaka Upanishad

Om! L'aurora è il capo del cavallo sacrificale; il sole è il suo occhio, il vento il suo respiro, il fuoco onnipresente la sua bocca, l'anno il suo corpo. Il cielo è il dorso del cavallo sacrificale; l'atmosfera è la sua pancia, la terra il suo inguine; i punti cardinali sono i suoi fianchi, i punti intermedi le sue coste, le stagioni le sue membra, i mesi e le quindicine le sue giunture, i giorni e le notti le sue gambe, le costellazioni le sue ossa, le nubi le sue carni. La sabbia è il cibo che egli digerisce; i fiumi i suoi intestini, i monti il suo fegato e i suoi polmoni, le erbe e le piante la sua criniera; il sole che si leva è il davanti del suo corpo, dietro il sole che tramonta. Il lampo è il suo ringhio, il tuono lo scuotimento del suo corpo, la pioggia la sua orina, la voce della parola il suo nitrito.
Il giorno, che posa sull'oceano orientale, fu la coppa posta dinanzi al cavallo. La notte, che si trova sull'oceano occidentale, fu la coppa posta dietro al cavallo. Egli fu il Destriero che portò gli Dei, lo Stallone che portò i Gandharva, il Corsiero che portò i Demoni, e infine portò gli Uomini, come fa il Cavallo. Egli è di casa nell'oceano, dove si trova la sua stalla.

Mandukya Upanishad

 

Tutto è contenuto nella sillaba Om.

Il passato, il presente e il futuro non sono altro che la sillaba Om.

Quello che trascende la triade temporale, a sua volta, è l’Om.

Tutto è Brahman.

Il sé è Brahman.

Ecco il Signore supremo, l’onnisciente, il regolatore interno;

esso è il principio, l’origine e la fine di tutti gli esseri.

 

Sri Adi Shankara

Shankaracharya

Vivekacudamani

“Il gran gioiello della discriminazione”  
Istruzione sul discernimento spirituale

1. Rendo onore al sadguru Govinda la cui natura è suprema beatitudine, il quale si rivela mediante l’insegnamento vedantico che è di là dal linguaggio e dalla percezione mentale.
2. Per tutte le creature viventi non è agevole avere una nascita umana, in particolare ottenere un temperamento maschile, più difficile è perseguire il sentiero della devozione vedica, più difficile ancora è acquisire la perfetta conoscenza delle Sacre scritture. Altresì è raro discriminare tra il Sé e il non-Sé e realizzare l’identità del Sé con Brahman. Questo tipo di liberazione perfetta è il risultato di meriti accumulato nel corso di innumerevoli nascite.

Soundarya Lahari, L'Onda della Bellezza

"L'Assoluto è senza forma, ma l'energia è femminile. Quando l'energia prende forma, è chiamata Madre. Madre è la potenza in movimento, che solleva in onde le acque calme dell'Assoluto." Swami Vivekananda

"Non c'è Shiva senza Shakti o Shakti senza Shiva. I due, per loro stessa natura, sono uno. Ciascuno di essi è coscienza e beatitudine." Arthur Avalon

"Shakti è l'energia primordiale latente,  indifferenziata e auto-cosciente, che tutto pervade, che si manifesta per creare l'universo dopo il diluvio o la grande dissoluzione (Mahapralaya). Questa Shakti non è diversa dalla coscienza (Cit), il loro rapporto è di inseparabile unità (Avinabhava Sambandha) come tra il fuoco e il calore, un soggetto e le sue caratteristiche, la parola e significato ecc. In altre parole, uno non esiste senza l'altra." 

Advaita Sadhana

Antologia degli insegnamenti di
Sri Chandrasekharendra Saraswati Swamigal.
Commento del Vivekacudamani di Shankara. [PDF]

Con grande compassione il nostro Acharya Shankara Bhagavatpada ha tracciato il Saadhanaa-kramaM (il metodo della Sadhana) per raggiungere lo scopo dell’Advaita. Tutto ciò che ha fatto è in accordo con la Sruti (i Veda). Il corpo dei Veda ha una testa, le Upanisad. Esse sono chiamate ‘shruti-shira’, che significa ‘la testa della Sruti’. L’alto edificio della Sadhana costruito per noi dall’Acharya è fondato sulle Upanisad.
Egli ha tracciato un programma chiamato ‘Saadhana-chatushhTayaM’ (la Sadhana in quattro fasi). Nel suo monumentale commento al Brahma Sutra fin dall’inizio dice: 'nitya-anitya-vastu-vivekaH' si deve discriminare tra ciò che è reale e cioè che non è reale e nomina la quattro fasi del cammino.
Come il Sutra-Bashya è il culmine dei commenti scritturali, il Viveva-Chudamani è la massima espressione delle opere dette prakarana. In questo testo è data una perfetta definizione delle quattro fasi del Saadhana-chatushhTayaM.

La filosofia di Shankara

La filosofia di Shankara

Questo articolo esamina l'Advaita Vedanta classico di Shankaracharya e alcune questioni basilari di epistemologia e soteriologia. La presentazione rimarrà fedele a ciò che Shankara ha effettivamente detto ed eviterà interpretazioni speculative del suo pensiero, come ad esempio le forme dell'Advaita Vedanta che possono significativamente essere adattate in modo da soddisfare le esigenze degli occidentali moderni. Per la maggior parte ci si riferisce ai commenti di Shankara sul Brahma Sutra e Brhadaranyaka Upanishad, forse i suoi lavori più importanti, con alcuni riferimenti anche ai suoi altri scritti. 

Ascolto, riflessione e meditazione nella pratica dell'Advaita Vedanta

L'analisi mentale dell'Upadesha (insegnamento) attraverso la riflessione costante è l'esercizio detto Manana. Successivamente, quando non esiste più necessità e scopo per ulteriore analisi e discussione, si procede con NidhidhyAsana, che è lo stato in cui la mente è concentrata esclusivamente nell'identificazione con l'atman- tattva, su cui si è giunti a una perfetta chiarezza, e la mente non è scossa da alcun movimento.

La Mente e la funzione dei Mahavakya.

La mente, che è chiamata 'organo interno' (antaHkaraNam), è indicata con quattro nomi in base alle rispettive funzioni: manas, buddhi, chittam e ahamkAra. La funzione del pensiero è conosciuta come manas, che designa l'attività della mente ordinaria, come comportamento, esperienza di piacere, repulsione, reazione e relazione. Quando viene presa una decisione, appellandosi al senso etico, alla verità, al discernimento, è detta buddhi o intelletto. La funzione di memorizzare le esperienze e le informazioni, e di compiere operazioni formali, è chiamata chittam. Il senso dell'io è ahamkAra. 

Devi Mahatmya

 

Durante il Navaratri, in India è tradizione leggere il Devi Mahatmya, suddiviso per i nove giorni (notti) dedicati alla Madre divina. La lettura di questo testo è una pratica devozionale riconosciuta e ricca di insight significativi. Il testo è stato tradotto e curato dai miei studenti durante il Solstizio d'estate 2020, anno apocalittico e insieme straordinario, e quindi da me revisionato commentato durante il Navaratri, per condividere la lettura del testo, a protezione e conforto dei devoti della Madre e di tutti. Lo dedichiamo al Navaratri d'autunno per tutti coloro che cercheranno rifugio nella Sapienza in tempi di angoscia. Adesh Adesh. Jay Ma!

 

Introduzione:

I. ORIGINE E TRADIZIONE DEL CULTO DELLA MADRE DIVINA IN INDIA.

II. IL DEVI MAHATMYA.

Giorno 1: Capitolo I (Madhu kaitabha samhaaram)

Giorno 2: Capitoli II, III, IV (Mahishhasura samhaara)

Giorno 3: Capitoli V, VI (Dhuumralochana vadha)

Giorno 4: Capitolo VII (Chanda Munda vadha)

Giorno 5: Capitolo VIII (Rakta biija samhaara)

Giorno 6: Capitoli IX, X (Shumbha Nishumbha vadha)

Giorno 7: Capitolo XI (Lode di Narayani)

Giorno 8: Capitolo XII (Phalastuti)

Giorno 9: Capitolo XIII (Benedizione di Suratha e Samadhi)


Testo e commento del Devi Mahatmya in PDF

[Tratto da Titus Burckhardt, ALCHIMIA - Significato e visione del mondo]

La visione ermetica delle cose si fonda sull'analogia fra l’universo – il macrocosmo – e l’uomo – il microcosmo - : analogia il cui asse o la cui chiave di volta è lo Spirito o Intelletto universale, prima emanazione dell’Uno assoluto.
L’universo e l’uomo si rispecchiano l’uno nell’altro: tutto ciò si trova nel primo deve necessariamente trovarsi, in un modo o nell’altro, anche nel secondo. Tale corrispondenza potrà essere meglio intuita riconducendola, anche se in via del tutto provvisoria, alla relazione soggetto-oggetto, conoscente-conosciuto: il mondo, in quanto oggetto, si riflette a tal punto nello specchio del soggetto umano che non ci sarebbe possibile percepirlo al di fuori di quest’ultimo.
Mentre il soggetto, lo specchio, esiste solo per quello che vi si riflette. Queste due polarità possono anche essere distinte, ma in nessun caso separate. Empiricamente, il soggetto si identifica con l’Io; e poiché questo si identifica a sua volta con il corpo, ecco che il soggetto ci potrà apparire non soltanto frantumato nelle prospettive individuali e variegato dalla diversa presenza dei sentimenti, ma anche, come indica la parola stessa, «sottomesso» al mondo oggettivo. Si tratta in realtà di una nostra di illusione ottica: se il soggetto, in quanto polarità interiore della conoscenza, non fosse che questo, cioè un puro centro di sensibilità individuale legato alle vicende de1 corpo e sottomesso alle sue leggi, non sarebbe evidentemente « all’altezza » del suo oggetto; la conoscenza oggettiva del mondo sarebbe impossibile, non esisterebbe anzi nessun livello possibile di conoscenza. Certo, la nostra conoscenza del mondo è frammentaria: non coglie gli oggetti che parzialmente, e rimane necessariamente indiretta non riuscendo a superare, in se stessa, la dualità oggetto-soggetto.
Ma questo non significa che sia meno adeguata: è comunque conoscenza e, in quanto tale, si iscrive in quella Verità universale senza la quale la nostra esperienza del mondo si ridurrebbe a un sogno evanescente e assurdo (ammesso poi che sia possibile la definizione di qualcosa in assenza di un autentico criterio di certezza); non vi sarebbe nessuna possibile coincidenza, né fra le cose e il nostro spirito, né fra i diversi « mondi » che corrispondono ai diversi soggetti.

L’universo è costituito da una serie indefinita di soggetti posti a confronto con una serie altrettanto indefinita di oggetti, in un sistema di assoluta continuità: la sfera oggettiva che corrisponde a questo o a quel soggetto particolare si inserisce senza fratture nell'insieme delle realtà soggettive e oggettive – avendo ogni soggetto, secondo i modi che gli sono propri, una visione globale e adeguata del mondo. Tutti i soggetti individuali, infatti, non sono che polarizzazioni più o meno dirette o indirette (del solo soggetto universale: lo Spirito o Intelletto).
Occorre quindi considerare un nuovo campo di analogie: poiché l'uomo rappresenta, nell'ordine terreno, il supporto più perfetto dello Spirito universale, o il suo più diretto luogo di attualizzazione, possiamo considerarlo - in linea di principio, se non di fatto - come la sintesi o la « risultanza » di questo essere macrocosmico costituito a sua volta dalla serie indefinita delle polarizzazioni dello Spirito unico. In questo senso, molti autori ermetici della tradizione araba hanno ritenuto di poter scrivere: « L'universo è un grande uomo e l'uomo è l'universo in piccolo ». È quindi evidente che l'Intelletto universale trascende le facoltà psichiche e mentali. Conviene comunque precisare che tale essenzialità gli è propria sempre e dappertutto, anche là dove si manifesta attraverso facoltà o coscienze più o meno limitate o più o meno opache: così come una luce pura riflessa da vetri colorati continua, in se stessa, a essere incolore. In assenza dell'Intelletto, nessuna forma mentale sarebbe in grado di contenere un benché minimo elemento di verità. La dottrina ermetica dell'Intelletto universale coincide, insomma, con quella tramandataci dai Platonici in un linguaggio sostanzialmente analogo. Come insegna Ermete Trismegisto, « l'Intelletto (nous) deriva dalla Sostanza (ousia) di Dio, nei limiti in cui sia possibile attribuire a Dio una sostanza; soltanto Dio conosce in che consiste la natura di tale sostanza. L'Intelletto non è una parte della sostanza divina; ne è piuttosto l'irradiazione, come un raggio di luce che scaturisce dal sole. Nell'uomo, questo Intelletto è Dio ... ». L'immagine non potrebbe essere più chiara. La luce scaturisce dal sole senza che questo ne abbia ad essere diminuito; nello stesso modo, l'Intelletto procede dalla sostanza divina senza che questa ne venga a perdere nelle sue manifestazioni in sovranità e trascendenza. Ma di più: come la luce del sole affida tutta la propria realtà al sole stesso, e a tal punto che non ci è più dire quale sia l'una e quale sia l'altro, così l'Intelletto diventa in qualche modo Dio - nell'uomo, cioè nel suo specchio cosmico più perfetto, è Dio.

Anche se l'Intelletto si mantiene intrinsecamente identico dappertutto, non manca tuttavia di dare origine, estrinsecamente, a una gerarchia di entità , al cui primo posto è l'Anima universale (psyché) e all'ultimo la materia. Nell'uomo - al cui livello il più alto e il più interiore coincidono - il corpo sembra contenere l'anima, a sua volta abitata da un intelletto che è portatore del Verbo Divino o Logos. È in questi precisi termini che ne parla Ermete Trismegisto nel libro già citato, là dove fra l'altro definisce Dio come «Il Padre di Tutto».
Le analogie fra questa dottrina e la teologia giovannea sono abbastanza evidenti, ed è comprensibile che non pochi padri della Chiesa, per esempio Alberto Magno, abbiano potuto vedere nel Corpus Hermeticum il « seme » precristiano della dottrina del Logos. Per chi sa leggere, la dottrina dell'unità trascendente dell'Intelletto è già tutta presente nel prologo ne1 Vangelo secondo Giovanni, e implicitamente affermata in tutte le rivelazioni della Sacra Scrittura, anche se il suo carattere esoterico resta necessariamente confermato dall'impossibilità di cogliere tale unità per mezzo dell'immaginazione o della stessa ragione, in quanto tale unità è la premessa e non l'oggetto della logica. Vedere nell'unità dello Spirito o Intelletto una sorta di continuità sostanziale - e per cosi dire materiale - in grado di dissolvere le distinzioni invece inerenti all'esistenza, a partire dalla distinzione evidentemente incommensurabile fra creato e increato, porterebbe inevitabilmente a gravissimi errori. La natura universale dello Spirito gli permette di essere totalmente presente in ogni creatura, ma senza annullarne l’essenza che è quella di una forma limitata e distinta non solo in rapporto alle altre creature, ma anche in rapporto allo Spirito stesso, da cui infinita è la distanza. Non dimenticando inoltre che l'anima (la psyché) è a sua volta una forma e che questa forma continua a esistere anche dopo la morte del corpo: tesi, questa, che l'averroismo – per eccesso di aristotelismo - non ha saputo conciliare con quella dello Spirito unico.

L'Intelletto, distinguendosi da tutti gli oggetti o almeno sottraendosi a qualsiasi possibile oggettivazione, è il « soggetto assoluto». È quindi il «testimone » più interiore e situato, nella nostra anima, di gran lunga al di là di tutto ciò che può ancora essere oggetto di conoscenza; si identifica, al fondo del nostro essere, con « l'Occhio divino». Ne troviamo allusione anche in quel testo ermetico della tradizione siriaca che contiene l'immagine dello specchio segreto cui si può accedere solo dopo aver oltrepassato sette porte, a loro volta corrispondenti alle sette sfere planetarie, gradi o « strati » dell'anima universale. « Era uno specchio fatto in modo tale », dice il testo in questione, «che nessun uomo vi si poteva vedere materialmente, poiché nel momento stesso in cui si distoglieva dallo specchio per rivolgersi alla molteplicità, perdeva la memoria della propria immagine (essenziale). Lo specchio rappresenta lo Spirito divino. Quando l'anima vi si rimira, scopre la colpa che è in lei e si affretta a rifuggirla [...l. Una volta purificata, l'anima imita lo Spirito Santo e lo prende a proprio modello; diventata a sua volta spirito, riconquista la pace e si riaffida a quello stadio superiore in cui lo si conosce (Dio) e da Lui si è conosciuti. Ormai senza ombra, si può distaccare dai vincoli che le sono propri come da quelli che l'accomunano al corpo [...]. Come dice la parola dei Filosofi? - Conosci te stesso! Con questo si vuol riferire allo specchio spirituale e intellettuale. Ma che cos'è questo specchio, se non il divino Spirito originale? Non appena l'uomo vi si contempla, non può fare a meno di distogliersi da tutto ciò che ha ancora a che fare con dei e con demoni, e si congiunge allo Spirito Santo per farsi uomo perfetto. Vede Dio in se stesso [...l. Lo specchio è posto al di sopra delle sette porte che corrispondono ai sette cieli, al di sopra del mondo sensibile, al di sopra delle dodici case (celesti). Al di sopra di tutto, si trova quest'occhio dei sensi invisibili, quest'occhio dello Spirito sempre e dappertutto presente. E là possiamo contemplare questo Spirito perfetto che contiene in potenza tutte le cose ...».

Non essendo l'Intelletto che la polarità conoscitiva dell'esistenza universale - non essendo in sé l'oggetto di un'esperienza ma la premessa e il fondamento di ogni possibile esperienza - la conoscenza che ne possiamo avere non modifica la nostra esperienza del mondo, almeno non nella sfera dei fatti, ma determina piuttosto l'assimilazione interiore di questa esperienza. Per la scienza moderna, le « verità » ( o leggi generali) - in assenza delle quali saremmo inghiottiti dalla sola esperienza come dalle sabbie mobili - si riducono alle descrizioni o schematizzazioni delle apparenze, astrazioni utili quanto assolutamente provvisorie. Per la scienza tradizionale, invece, è essenzialmente verità l'espressione o la « condensazione », in forma accessibile alla ragione, di una possibilità già presente a priori nell'Intelletto universale. Tutto ciò che appare, in modo più o meno effimero, nell'esistenza, ha il proprio modello o archetipo appunto nell'Intelletto universale. Mentre l'Intelletto coglie le possibilità nella loro primitiva immutabilità , la ragione non ne afferra che le ombre o i simboli. Platone chiama idee o archetipi tali immutabili possibilità: conviene rispettare il significato più autentico di queste espressioni ed evitare di applicarle a semplici generalizzazioni - tutt'al più, riflessi delle vere idee - o a quella sfera esclusivamente psichica che si è convenuto di chiamare inconscio collettivo. Quest'ultima accezione è particolarmente incongrua e scorretta, in quanto sembra presupporre una identificazione fra indivisibilità dell'Intelletto e impenetrabilità del fondo più passivo e oscuro dell'anima. Non è al di sotto ma al di sopra del piano razionale che si situano gli archetipi: il che spiega fra l'altro perché mai tutto ciò che la ragione ne può cogliere non sia che un aspetto necessariamente limitato della loro più autentica realtà. Soltanto l'unione dell'anima con lo Spirito - o, per meglio dire, il suo ritorno all'unità indivisibile dello Spirito - può dare origine nella coscienza dell'uomo a una sorta di improvvisa rivelazione delle possibilità eterne presenti nell'Intelletto o Spirito: possibilità che si « condensano» spontaneamente sotto forma di simboli.

Nel libro del Corpus Hermeticum conosciuto sotto il titolo di « Pimandro », apprendiamo in che modo l'Intelletto universale si riveli a Ermete-Thoth: « Cosi dicendo, Egli mi fissò in volto a lungo, a tal punto da farmi tremare sotto il suo sguardo. Poi, non appena risollevò la testa, vidi come nel mio stesso spirito (nous) la luce di incalcolabili possibilità si trasformasse in un Tutto infinito, mentre il fuoco, circoscritto e come trattenuto all'interno da una forza onnipotente, perveniva al suo stato di immobilità . Questo è quanto ho potuto trattenere razionalmente di tale visione [ . . . ]. Quando fui del tutto fuori di me, Egli parlò di nuovo: "Tu hai potuto vedere nell'intelletto (nous) il prototipo, l'origine anteriore a qualsiasi inizio senza fine" ... ». Una cosa o un pensiero assurge a simbolo là dove rifletta, a livello fisico o psichico, il proprio archetipo o essenza immutabile. Se è vero che il pensiero astratto è in grado di meglio sottolineare la distanza che separa il simbolo dal suo archetipo, è altrettanto vero che l'immaginazione si presta più compiutamente a riflettere quest'ultimo, poiché l'immagine è sempre più complessa di una nozione astratta e offre un numero evidentemente superiore di possibilità interpretative. Inoltre, pur essendo vero simbolo, essa si fonda sulla reciproca corrispondenza che esiste fra la sfera spirituale e la sfera corporea, conformandosi così alla legge che dice, secondo le parole che possiamo leggere sulla Tavola Smeraldina, che « il più basso è simile in tutto al più alto».
Là dove l'intelletto umano, grazie all'unione più o meno completa con l'Intelletto universale, riesce a distogliersi dalla molteplicità delle cose per ascendere all'unità indivisibile, la conoscenza della natura che un uomo è in grado di acquisire a partire da tale visione non resterà più limitata ai puri e semplici fatti sensoriali (questi ultimi, poi, si manterranno ancora e sempre quali sono) - il mondo è ormai diventato trasparente all'uomo: questi vede nelle sue apparenze il riflesso degli archetipi eterni. E anche quando questa intuizione non è immediatamente presente, i simboli che ne scaturiscono ne risvegliano comunque il ricordo o la « reminiscenza ». Questa è la visione ermetica della natura. In tale prospettiva, le cose acquistano importanza non tanto per la loro natura misurabile e quantificabile, cioè per il loro essere determinate da cause e circostanze temporali, quanto per le loro qualità essenziali: quelle stesse che possiamo immaginare come fili verticali (fili di un ordito) di una tessitura, immagine del mondo. Ma sono poi i fili orizzontali (la trama), inseriti in modo alterno dalla spola, a fare di quella tessitura un tessuto uniforme e compatto. I fili verticali sono i contenuti immutabili, o le essenze delle cose, mentre i fili orizzontali ne rappresentano la natura materiale e sottomessa la tempo, allo spazio e ad altre analoghe condizioni.

[Immagine: La dama e l'unicorno di Luca Longhi, 1535-40. Probabile ritratto di Giulia Farnese.]

La Tradizione degli Yogi

GORAKHNATH E LA TRADIZIONE NATH

 

Adya (il principio maschile primordiale) e Adyā (il principio femminile primordiale) erano i due antichi dei che diedero inizio alla creazione. Successivamente nacquero quattro Siddha, dopo di loro nacque una ragazza, il cui nome era Gaurī. Per ordine di Adya, Śiva la sposò e discese sulla Terra. I nomi di quei quattro Siddha erano Mīnnāth (Matsyendranath), Gorakṣnath, Hāḍiphā (Jalendharnath) e Kānphā. Dal momento in cui furono creati, restarono assorti dalla pratica dello yoga e si sostenevano solo di aria. Goraksh Nath era al servizio di Mīn-nāth e Kanphanath era di Hāḍipā. 

dal Navanath Katha

Goraksha Sataka

La Centuria dei Versi di Gorakhnath

Om! Incomincia la centuria di Goraksha sull'Hata Yoga!
1. Mi inchino al venerabile Guru Matsyendranath, supremo bene, incarnazione della gioia; la cui semplice prossimità trasforma il corpo in pura coscienza e beatitudine.
2. Colui che, in virtù della paatica dell'adhdrbandha e delle altre tecniche posturali, illuminato dalla luce della coscienza, è lodato come Yogi e quale essenza e misura del tempo, degli yuga e dei kalpa, Colui in cui il Signore, oceano di conoscenza e beatitudine, ha preso forma, Colui che è superiore a tutti gli attributi qualitativi, manifesti e immanifesti, questi, Sri Minanath, io saluto devotamente
3. Avendo salutato con devozione il proprio Guru, Gorakhnath descrive la suprema conoscenza, ricercata dagli yogi, che conduce al Bene supremo.
4. Per il bene degli Yogi, Goraksa espone la Centuria di versi la cui conoscenza è il percorso sicuro verso lo stato supremo.
5. Questa è la scala che porta alla liberazione, per cui la mente è distolta dalle gioie dei sensi e si rivolge allo spirito, e con cui si sfugge la morte.

 

SIṢYĀ DARSAN

OṂ. Dall'eterno, l'Om emerge. Dall'Om, lo spazio [ākāś] emerge. Dallo spazio, l'aria emerge. Dall'aria, il fuoco emerge. Dal fuoco, l'acqua emerge. Dall'acqua, la terra emerge. La forma della terra è la bellezza della Dea. La forma dell'acqua è l'aspetto di Brahma. La forma del fuoco è la maya di Vishnu. La forma dell'aria è il corpo di Dio. La forma dello spazio è l'ombra del Suono [Nad] La forma del Suono emerge dall'eterno.

ABHAI MĀĀTRĀ JOG

OM. Il lignaggio dei Perfetti, la via della saggezza, la vera terra, la postura naturale e il respiro, la medicina filosofale del respiro yogico, la grotta dell'autocontrollo, l'astinenza come perizoma, il decoro come cintura di castità, l'unità trascendente come scialle di meditazione, l'unione, l'Uddhiana Bandh, il vero mudra, la virtù come abito, il perdono come cappello, l'ardore come supporto, l'introspezione come sacca delle elemosine, la pazienza come bastone, la discriminazione come spada, la pratica ascetica come ruota, il chakra radice come ciotola per l'acqua, la mente come acqua, l'elisir come cibo, la compassione, la meditazione del segreto, il discernimento come libro, la lingua come alchimia...

 

Adesh Adesh

Quando due Yogi Nath si incontrano, usano la parla आदेश (Ādeśa)per rivolgersi l'un l'altro il saluto. Nel dizionario Sanscrito o Hindi troveremo che la parola ādeś si traduce come ordine, legge, comando o istruzione, ma i Nath associano a essa un significato molto più ampio.

La parola ādeśa è composta di due parti: आदः (ādaḥ), e ईश (īśa), dunque ādaḥ + īśa = Ādeśa. आदः (ādaḥ) significa ricevere o essere legati a, mentre ईश (īśa) significa signore, padrone, ed è anche uno dei nomi di Shiva; inoltre esprime anche eccellenza, abilità, potere. I Nath ritengono che fu Shiva stesso il fondatore del loro ordine, con il nome di आदिनाथ (Ādi Nātha), "Il Primo Nath", "Il Maestro Primordiale", che è unanimemente accettato dagli Yogi come Adi Guru (Primo Guru) e la Divinità sovrana del Nath Sampradaya. E' detto anche Yogeshvara (il Signore dello Yoga) l'ideale ascetico stesso, signore di austerità e penitenza, Signore degli spiriti e delle anime. Nel senso più ampio, Adi Nath si può tradurre come "il Signore Primordiale", nel suo ruolo di Signore di tutto il creato.

GORAKSHA VACANA SAMGRAHA.

Le istruzioni di Gorakhnath. 

1. Alcune persone desiderano la non dualità, altri desiderano la dualità. Ma non troveranno la Realtà, che è sempre e ovunque la stessa, diversa dalla dualità e dalla non dualità.
2. Se il Dio (Shiva) a cui tutto va è immutabile, pieno, indiviso, allora oh! La maya, la grande illusione, le false nozioni di dualità e non dualità.
3. Si dice che il supremo Brahman sia libero dall'esistenza e dalla non esistenza, libero da distruzione e generazione, al di là di ogni concezione.
4. Coloro che conoscono la Realtà lo conoscono come infinito spazio, vera conoscenza e beatitudine, ignoto al ragionamento e all'esempio, al di là della mente, dell'intelletto e delle altre funzioni.
5. Shakti è inerente a Shiva, Shiva è inerente a Shakti. Si deve riconoscere che non c'è differenza tra essi, come tra la Luna e la sua luce.
6. Quindi Shiva senza Shakti non potrebbe fare nulla. Ma dacché è unito al suo potere (shakti), è causa di tutte le forme sensibili.
7. Dotato di infinita Shakti, Shiva perpetua il manifestarsi di tutte le forme, eppure rimane uno solo, senza secondo, nella sua propria forma.

Adi Nath, Matsyendra Nath e Goraksh Nath. L'origine della tradizione Nath.

Da tempo l'India è riconosciuta come un importante centro della vita spirituale, che ha esercitato grande influenza sullo sviluppo di tutta la civiltà umana. La storia del paese è stata sempre segnata dalle storie di diversi grandi santi, Siddha e MahaYogi, che appaiono di volta in volta a guidare l'umanità verso ideali più alti, grazie all'esempio delle loro vite illustri.

Alcuni aspetti degli insegnamenti dei Nath

La posizione metafisica dei Nath non è monista né dualista. E' trascendente nel più vero senso della parola. Essi parlano dell'Assoluto (Nath), al di là delle opposizioni implicite nei concetti di Saguna e Nirguna, o di Sakara e Nirakara. Perciò, per essi il fine supremo della vita è realizzare se stessi come Nath e restare eternamente radicati al di là del mondo delle relazioni. La via per conquistare tale realizzazione è detta essere lo yoga, su cui investono molta energia. Sostengono che la Perfezione non si posa raggiungere con altri mezzi, se non con il sostegno della disciplina dello yoga.

I Siddha e la Via del Rasa

Un Siddha è qualcuno che si dice abbia raggiunto poteri sovrumani (Siddhi) o un Jivanmukthi, un liberato in vita. Il termine potrebbe anche essere tradotto come il raggiungimento della perfezione o dell'immortalità. Tale Siddha dotato di un corpo divino (divyadeha) è Shiva stesso (Maheshvara Siddha). È il perfetto, che ha superato le barriere del tempo, dello spazio e dei limiti umani. Un Siddha nella sua forma idealizzata è liberato da tutti i desideri (anyābhilāṣitā-śūnyam), colui che ha raggiunto un'identità impeccabile con la Realtà suprema.

Gorakh Bani

 

Il Gorakh Bani è un poema sapienziale di epoca medievale attribuito a Gorakhnath, composto di 275 strofe, più una serie di composizioni aggiuntive, dette Pada.
E’ un testo dei più misteriosi e affascinanti. E’ il Sabad, la parola spontanea dell’illuminato, lontana dai canoni scolastici vedantini e dello yoga, invece enigmatica e fitta di allegorie ermetiche e di riferimenti alla vita del monaco errante, dello Yogi, del Siddha, e alla sadhana esoterica. Perciò è un testo complesso, anti-intuitivo, ironico, poi beatifico e estatico, a tratti oscuro, comunque veloce, ritmato e vivace.
E’ un poema scritto con l’intento di sfidare l’intelligenza e le aspettative del lettore, e perciò per destrutturare il linguaggio e la mentalità razionale, e con esso il pensiero di chi legge. Il suo scopo è spingere a tuffarsi nell’orizzonte – o nel logos – del siddha, che è l’outsider e il mago, l’enigma in persona, al di là del duale e del non duale: lo Yogi Gorakh è “il fanciullo che parla dal più alto dei cieli”.
Si tratta di un orizzonte di meditazione che è molto radicale rispetto a quelli in voga ai nostri giorni. Il testo offre molti punti letteralmente di appoggio, su cui sviluppare quel percorso di meditazione, come inteso originariamente, su cui lo yogi deve lavorare in autonomia. Si spalanca l’orizzonte della meditazione, in cui approfondire le singole stazioni.

A differenza del sapere religioso, ben noto e reiterato dalla tradizione tra i confini del "villaggio", il sapere che Gorakh incarna non può essere indicato tra le definizioni che sono postulate dai dotti, dalle usanze e dai sacerdoti. Egli è un sapere incarnato e vivente, sempre nuovo, imperituro e rinnovato dall’esperienza che nel tempo è maturata nella coscienza degli yogi che hanno intrapreso lo stesso cammino, che si illuminerà con l’immagine già misteriosamente addotta da Eraclito. “Un fanciullo che parla dall’alto dei cieli”.

La Parola (Sabad) che andiamo a esporre è esoterica, codice e chiave di accesso a un regno e un pensiero differenti. Nessuno può dire di possederla, poiché la sua espressione è il suo stesso occultamento e la sola chiave d’accesso è il risveglio che riesce a suscitare. Il Sabad deve procurare il risveglio della stessa condizione nell’interlocutore, risvegliare il Sabad. Non è un sistema normativo che si possa imporre, non è un’ideologia a cui si possa aderire, non è un argomento che si possa padroneggiare, non è una tesi che si possa confutare o un sistema da applicare alla lettera. Sabad è la libertà della Parola ispirata, dell’esperienza diretta, del cuore di chi parla, il riverbero del suono primordiale incausato. Sabad è il seme stesso che si getta nel terreno del cuore, dove Gorakh "ara il campo". Chi nasce da quel seme è "uno di noi".

 

Testo e commento del Gorakh Bani sono pubblicati su Satsang.it

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