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Testi del Vedanta, dello Yoga e della tradizione Hindu.

Dal 2001 Visionaire.org è scritto, illustrato, pubblicato da Beatrice Polidori (Udai Nath)

Testi del Vedanta

Bhagavad Gita

Il Signore creò  il mondo, e volle proteggere la sua esistenza. In primo luogo fece i progenitori, guida delle genti (prajaa - Pati), a partire da Marichi, e  impartì loro la legge  (Dharma), caratterizzata dai precetti operativi  (pravRitti) descritti nei Veda. Poi creò Sanaka, Sanandana e altri, e impartì loro la legge della rinuncia all'azione (NIVRitti), dalla conoscenza e dal  distacco. Duplice è la Legge descritta nei Veda - una di azione e l'altra di rinuncia all'azione – con cui è retto il mondo. Questa duplice legge deve essere osservata da parte dei membri di tutte le classi, a cominciare dai Brahmana, per tutta la durata delle stagioni della vita, in quanto porta direttamente a ottenere la prosperità e la liberazione, il Sommo Bene.

Nel corso del tempo, a causa dell'egoismo di coloro che dovevano difendere legge, e la conseguente diminuzione della conoscenza discriminativa, l'ingiustizia divenne più potente e prevalse sulla legge. Volendo mantenere la stabilità del mondo, il Creatore primordiale, che tutto pervade, il Signore (Vishnu), chiamato Narayana, si incarnò e nacque da Devaki e da Vasudeva, come Krishna, al fine di ristabilire la legge divina dei Veda.  Solo se la Legge vedica è preservata, il suo spirito proteggerà la vita delle diverse classi di persone.

Ashtavakra Samhita

Tu non appartieni ai bramini, ai guerrieri né ad altra casta, tu non sei in alcuno stadio di vita, non sei nulla di ciò che i tuoi occhi possono vedere. Sei privo di attaccamento e di forma, il testimone di tutto - [dunque] sii beato, ora. Giusto e ingiusto, piacere e dolore appartengono soltanto alla mente e non ti riguardano. Tu non sei l'agente o il fruitore delle conseguenze [dell'agire]; tu sei sempre libero.

Tu sei l'unico testimone di tutto, completamente libero. La causa della sofferenza è nel ritenere il testimone qualcosa di diverso da questo. Finché sei stato ingannato dal nero serpente dell'opinione di te stesso, hai creduto stoltamente: "io sono colui che agisce"; ora dissetati col nettare dell'evidenza: "io non sono colui che agisce" e da subito sii felice. Brucia la foresta dell'illusione con il fuoco della conoscenza.

Mandukya Karika di Gaudapada

Mi inchino al Brahman che pervade l'universo con l'effusione della conoscenza, che pervade ciò che è mobile e ciò che è immobile, Colui che osserva tutto quello che può essere conosciuto nel mondo grossolano [durante lo stato di veglia], Quello per cui si sperimenta tutto ciò che nasce dal desiderio ed è illuminato dall'intelletto [durante lo stato di sogno], e che riposa nella Sua beatitudine e fa che tutti noi vediamo attraverso la Sua Maya, quello che, nei termini di Maya, è il Quarto [Turiya] e il supremo, immortale e non nato.

Turiya, il Sé dell'universo - che osserva i frutti della virtù e del vizio nel mondo grossolano, che conosce gli oggetti sottili creati dalla Sua intelligenza e illuminati dalla Sua luce e che riassorbe tutto questo gradualmente in Sé, e che abbandonata ogni differenziazione diviene privo di attributi – che possa Egli accordarci la Sua protezione.

श्रुति Śrūti

Ishavasya Upanishad

Il volto della Verità è nascosto da una maschera d’oro; rimuovilo, oh Conoscitore, perché trionfi la verità, perché sia veduto. O Conoscitore, o Veggente, o Ordinatore, Sole Illuminante, o Padre delle creature, apri i tuoi raggi divini, trattieni il tuo ardore, affinché io possa conoscere il tuo volto benedetto. L'essere luminoso che abita in te, quello io sono.

Brhadaranyaka Upanishad

Om! L'aurora è il capo del cavallo sacrificale; il sole è il suo occhio, il vento il suo respiro, il fuoco onnipresente la sua bocca, l'anno il suo corpo. Il cielo è il dorso del cavallo sacrificale; l'atmosfera è la sua pancia, la terra il suo inguine; i punti cardinali sono i suoi fianchi, i punti intermedi le sue coste, le stagioni le sue membra, i mesi e le quindicine le sue giunture, i giorni e le notti le sue gambe, le costellazioni le sue ossa, le nubi le sue carni. La sabbia è il cibo che egli digerisce; i fiumi i suoi intestini, i monti il suo fegato e i suoi polmoni, le erbe e le piante la sua criniera; il sole che si leva è il davanti del suo corpo, dietro il sole che tramonta. Il lampo è il suo ringhio, il tuono lo scuotimento del suo corpo, la pioggia la sua orina, la voce della parola il suo nitrito.
Il giorno, che posa sull'oceano orientale, fu la coppa posta dinanzi al cavallo. La notte, che si trova sull'oceano occidentale, fu la coppa posta dietro al cavallo. Egli fu il Destriero che portò gli Dei, lo Stallone che portò i Gandharva, il Corsiero che portò i Demoni, e infine portò gli Uomini, come fa il Cavallo. Egli è di casa nell'oceano, dove si trova la sua stalla.

Mandukya Upanishad

 

Tutto è contenuto nella sillaba Om.

Il passato, il presente e il futuro non sono altro che la sillaba Om.

Quello che trascende la triade temporale, a sua volta, è l’Om.

Tutto è Brahman.

Il sé è Brahman.

Ecco il Signore supremo, l’onnisciente, il regolatore interno;

esso è il principio, l’origine e la fine di tutti gli esseri.

 

Sri Adi Shankara

Shankaracharya

Vivekacudamani

“Il gran gioiello della discriminazione”  
Istruzione sul discernimento spirituale

1. Rendo onore al sadguru Govinda la cui natura è suprema beatitudine, il quale si rivela mediante l’insegnamento vedantico che è di là dal linguaggio e dalla percezione mentale.
2. Per tutte le creature viventi non è agevole avere una nascita umana, in particolare ottenere un temperamento maschile, più difficile è perseguire il sentiero della devozione vedica, più difficile ancora è acquisire la perfetta conoscenza delle Sacre scritture. Altresì è raro discriminare tra il Sé e il non-Sé e realizzare l’identità del Sé con Brahman. Questo tipo di liberazione perfetta è il risultato di meriti accumulato nel corso di innumerevoli nascite.

Soundarya Lahari, L'Onda della Bellezza

"L'Assoluto è senza forma, ma l'energia è femminile. Quando l'energia prende forma, è chiamata Madre. Madre è la potenza in movimento, che solleva in onde le acque calme dell'Assoluto." Swami Vivekananda

"Non c'è Shiva senza Shakti o Shakti senza Shiva. I due, per loro stessa natura, sono uno. Ciascuno di essi è coscienza e beatitudine." Arthur Avalon

"Shakti è l'energia primordiale latente,  indifferenziata e auto-cosciente, che tutto pervade, che si manifesta per creare l'universo dopo il diluvio o la grande dissoluzione (Mahapralaya). Questa Shakti non è diversa dalla coscienza (Cit), il loro rapporto è di inseparabile unità (Avinabhava Sambandha) come tra il fuoco e il calore, un soggetto e le sue caratteristiche, la parola e significato ecc. In altre parole, uno non esiste senza l'altra." 

Advaita Sadhana

Antologia degli insegnamenti di
Sri Chandrasekharendra Saraswati Swamigal.
Commento del Vivekacudamani di Shankara. [PDF]

Con grande compassione il nostro Acharya Shankara Bhagavatpada ha tracciato il Saadhanaa-kramaM (il metodo della Sadhana) per raggiungere lo scopo dell’Advaita. Tutto ciò che ha fatto è in accordo con la Sruti (i Veda). Il corpo dei Veda ha una testa, le Upanisad. Esse sono chiamate ‘shruti-shira’, che significa ‘la testa della Sruti’. L’alto edificio della Sadhana costruito per noi dall’Acharya è fondato sulle Upanisad.
Egli ha tracciato un programma chiamato ‘Saadhana-chatushhTayaM’ (la Sadhana in quattro fasi). Nel suo monumentale commento al Brahma Sutra fin dall’inizio dice: 'nitya-anitya-vastu-vivekaH' si deve discriminare tra ciò che è reale e cioè che non è reale e nomina la quattro fasi del cammino.
Come il Sutra-Bashya è il culmine dei commenti scritturali, il Viveva-Chudamani è la massima espressione delle opere dette prakarana. In questo testo è data una perfetta definizione delle quattro fasi del Saadhana-chatushhTayaM.

La filosofia di Shankara

La filosofia di Shankara

Questo articolo esamina l'Advaita Vedanta classico di Shankaracharya e alcune questioni basilari di epistemologia e soteriologia. La presentazione rimarrà fedele a ciò che Shankara ha effettivamente detto ed eviterà interpretazioni speculative del suo pensiero, come ad esempio le forme dell'Advaita Vedanta che possono significativamente essere adattate in modo da soddisfare le esigenze degli occidentali moderni. Per la maggior parte ci si riferisce ai commenti di Shankara sul Brahma Sutra e Brhadaranyaka Upanishad, forse i suoi lavori più importanti, con alcuni riferimenti anche ai suoi altri scritti. 

Ascolto, riflessione e meditazione nella pratica dell'Advaita Vedanta

L'analisi mentale dell'Upadesha (insegnamento) attraverso la riflessione costante è l'esercizio detto Manana. Successivamente, quando non esiste più necessità e scopo per ulteriore analisi e discussione, si procede con NidhidhyAsana, che è lo stato in cui la mente è concentrata esclusivamente nell'identificazione con l'atman- tattva, su cui si è giunti a una perfetta chiarezza, e la mente non è scossa da alcun movimento.

La Mente e la funzione dei Mahavakya.

La mente, che è chiamata 'organo interno' (antaHkaraNam), è indicata con quattro nomi in base alle rispettive funzioni: manas, buddhi, chittam e ahamkAra. La funzione del pensiero è conosciuta come manas, che designa l'attività della mente ordinaria, come comportamento, esperienza di piacere, repulsione, reazione e relazione. Quando viene presa una decisione, appellandosi al senso etico, alla verità, al discernimento, è detta buddhi o intelletto. La funzione di memorizzare le esperienze e le informazioni, e di compiere operazioni formali, è chiamata chittam. Il senso dell'io è ahamkAra. 

Devi Mahatmya

 

Durante il Navaratri, in India è tradizione leggere il Devi Mahatmya, suddiviso per i nove giorni (notti) dedicati alla Madre divina. La lettura di questo testo è una pratica devozionale riconosciuta e ricca di insight significativi. Il testo è stato tradotto e curato dai miei studenti durante il Solstizio d'estate 2020, anno apocalittico e insieme straordinario, e quindi da me revisionato commentato durante il Navaratri, per condividere la lettura del testo, a protezione e conforto dei devoti della Madre e di tutti. Lo dedichiamo al Navaratri d'autunno per tutti coloro che cercheranno rifugio nella Sapienza in tempi di angoscia. Adesh Adesh. Jay Ma!

 

Introduzione:

I. ORIGINE E TRADIZIONE DEL CULTO DELLA MADRE DIVINA IN INDIA.

II. IL DEVI MAHATMYA.

Giorno 1: Capitolo I (Madhu kaitabha samhaaram)

Giorno 2: Capitoli II, III, IV (Mahishhasura samhaara)

Giorno 3: Capitoli V, VI (Dhuumralochana vadha)

Giorno 4: Capitolo VII (Chanda Munda vadha)

Giorno 5: Capitolo VIII (Rakta biija samhaara)

Giorno 6: Capitoli IX, X (Shumbha Nishumbha vadha)

Giorno 7: Capitolo XI (Lode di Narayani)

Giorno 8: Capitolo XII (Phalastuti)

Giorno 9: Capitolo XIII (Benedizione di Suratha e Samadhi)


Testo e commento del Devi Mahatmya in PDF

Sri Ma Ananadamay nacque nel 1896  e raggiunse il MahaSamadhi all’età di 86 anni; le limitazioni contingenti non condizionarono mai la sua libertà di essere se stessa in ogni circostanza. Era la personificazione della più gioiosa auto-sufficienza, che catturava il cuore di tutti quelli che la avvicinavano. Il misterioso distacco che le era caratteristico era totalmente superiore all’umana comprensione e ben bilanciato dall’amore compassionevole per tutte le creature viventi, che la rendeva vicina più di quanto possa essere il più intimo amico. Era il Maestro la cui guida era ricercata dai semplici e dagli eruditi, dagli anziani e dai bambini, da persone di culture straniere quanto da quelli legati alla tradizione. Viaggiò incessantemente, trovandosi  in ogni luogo come a casa, e nessuno fu mai uno straniero per lei.

Per tutto il territorio indiano e oltre i suoi confini, la gente che la incontrava riconosceva in lei la personificazione della propria visione dell’Amato (Divino) così come era caro ai loro cuori. A Dhaka, dove fu conosciuta all’inizio, era nota come “Manush Kali”, cioè “la Kali Vivente”, poiché Kali è la divinità patrona del Bengala. Quando viaggiò in altre province, la sua presenza sollecitò lo stesso responso, fin dalla prima comparsa. Sulle sponde del sacro fiume Narmada, fu salutata come “Devi Narmada”. A Madurai la folla che attese ore per vederla la chiamava Dea Minakshi. Nel Punjab le tributarono onori al pari del santo Granth Sahab. A Vrindaban , Sri Haribabaji Maharaj, un Mahatma molto rispettato, vide in lei la divinità cui era devoto, Gauranga. I Sindi devoti di Sri Udiyababaji Maharaj la riverirono quale forma visibile di Jhoolelal, loro Dio. A un devoto musulmano accadeva di vedere la sua immagine coronata da un Taj durante la meditazione. Un devoto cristiano esclamò spontaneamente “Ora abbiamo un volto da dare a Dio”. Le semplici donne degli altopiani di Almora avrebbero detto di lei: “Ora che abbiamo te con noi, non abbiamo bisogno di visitare il tempio”.

Uno straniero, un giornalista irlandese le chiese apertamente: “Dunque devo credere che tu sei Dio?” Sri Ma rispose: “Non c’è altro che Lui solo; tutti e tutto sono soltanto forme di Dio. Anche nella tua persona Egli è venuto per offrire il suo darshana (visione)”. Questi insistette: “Perché sei in questo mondo?” “In questo mondo?” rispose Sri Ma “Io non sono in alcun luogo. Io sono sempre in me stessa”.

Durante la stessa conversazione l’irlandese disse: “Io sono cristiano” Sri Ma rispose: “Anche io, sono cristiana, musulmana, qualsiasi cosa vogliate”.

In generale il sorriso inimitabile di Sri Ma disarmava ogni indagine sulla sua identità. Una volta rispose alle domande di un devoto con queste parole: “Le persone hanno varie visioni di dei e di dee (in me), a seconda delle loro predisposizioni. Quello che ero prima, sono ora e sarò d’ora in poi. E sono anche qualsiasi cosa tu o chiunque altro pensiate che io sia… perché non la vedi in questo senso: il desiderio (di ricercare la Verità) vi ha portato a incontrare questo corpo. Tutti voi l’avete voluto e dunque l’avete trovato. Questo è quanto dovete sapere.”

Richard Lannoy, che le fu devoto per molti anni, ha riassunto lo stile di Sri Ma in una frase molto eloquente: “C’era una stranezza, una particolarità, una qualità indefinibile che era così prossima al limite di ciò che è definito umano che rendeva l’aggettivo ‘umano’ del tutto inadeguato al suo caso, e ‘divino’ insufficiente. E’ accettato da tutti che lei fosse semplicemente unica… Fu, per tutta la vita, l’apice della perfezione senza sforzo”.

Sri Ma Anandamayi nacque nel piccolo villaggio di Kheora, oggi in Bangladesh, il 30 aprile 1896. La sua era una famiglia di bramini molto pia e prestigiosa, anche se povera. Le fu dato il nome di Nirmala Sundari Devi, che significa “bellezza immacolata”, particolarmente appropriato alla splendida bambina, spensierata e felice, che trascorse la sua infanzia nell’area del villaggio. Era molto cara a tutti -  sempre pronta a dare una mano nelle faccende di tutti e a servire col massimo impegno chiunque le chiedesse di fare delle commissioni. Il villaggio, che consisteva principalmente in famiglie musulmane, le riservò un affetto che sarebbe durato per molti anni. Ancora oggi, la popolazione musulmana di Kheora la ricorda come la “Nostra Ma”.

Il padre di Sri Ma era un devoto Vaishnava (di Vishnu – ndt). Era noto per le sue magnifiche interpretazioni dei canti devozionali; la sua voce melodiosa toccava sempre il cuore degli ascoltatori. Fu spesso paragonato a Ramprasad, il santo bardo del Bengala che si dice evocò la presenza della Shakti con il suo canto ispirato. La madre di Sri Ma era una donna gentile e di indole virtuosa, completamente dedita al benessere della famiglia. Che non fosse una donna comune, lo si scoprirà con il passare degli anni. Molti la ricorderanno come la Swamini vestita di ocra che accompagnava Sri Ma con il nome di Muktananda Giri.

Sri Ma era circa tredicenne quando sposò Sri Ramani Mohan Chakravarty di Atpara. La famiglia del marito era di tradizione Shakta. Come sposa bambina, Sri Ma fu accolta nella casa del fratello maggiore del marito, Sri Revati Mohan, e della moglie Pramoda Devi. Rimase con loro circa quattro anni, mentre Ramani Mohan si trovava ad Atpara e a Dhaka. Da un’infanzia spensierata in casa dei genitori, si trovò catapultata in un contesto esigente, per il considerevole lavoro fisico richiesto e in un clima di severa disciplina. Cucinava, puliva, trasportava acqua, curava i bambini e serviva la cognata in ogni maniera. Il duro lavoro è la regola per le donne dei villaggi indiani e di tutto il mondo. Quello che distingueva Sri Ma dalle ragazze nella sua stessa situazione era essere perfettamente all’altezza del compito e anche più. Rimaneva sempre sorridente, di buon umore e sempre disponibile a caricarsi dei fardelli altrui. Nessun compito le risultava ingrato. Il suo carattere sereno ed equilibrato non era mai turbato dalla disattenzione o dalle cattive maniere dei più anziani.

In realtà l’attitudine sempre positiva di Sri Ma causò alcune ansietà nei suoi famigliari: doveva essere segno di una mente semplice. Anche durante l’infanzia questo timore aveva preoccupato i genitori – forse era leggermente ritardata se non era dispettosa e disubbidiente come tutti gli altri bambini? Ci vollero molti anni perché le persone accanto a lei capissero definitivamente che lei era sempre assorta in se stessa. Ripeteva sovente a Vani: “Quello che accade, lascia che sia”.

Ci volle del tempo perché la gente capisse che Sri Ma era obbediente ma non sciocca o suggestionabile. La sua compassione senza limiti fluiva copiosa nella sollecitudine con cui si occupava di chiunque capitasse nel suo raggio di azione: famigliari, vicini, servitori, animali e piante ricevettero il tocco magico del suo interesse nel loro bene. Possedeva anche uno spontaneo e puntuale senso dell’umorismo, con cui prendeva di mira le manie dei suoi compagni, regalando un po’ di divertimento, senza però mai prendersi gioco di qualcuno con malizia. Aveva sempre un’aura di perfezione attorno a sé, che però non metteva soggezione. Al contrario, i suoi modi gentili e il sorriso sempre pronto le accattivavano le simpatie di tutti quelli che la incontravano.

All’età di diciotto anni, con il consenso delle due famiglie, Sri Ma andò ad Ashtangram, dove lavorava il marito, per vivere con lui. Negli anni successivi Sri Ma era solita chiamare il marito “Bholanath”, per cui useremo questo titolo per indicarlo. Al momento di partire per Ashtagram la madre le disse che avrebbe dovuto mostrare verso il marito lo stesso rispetto e la stessa obbedienza che aveva avuto per il padre. E’ stato osservato che per tutta la vita Sri Ma fu molto attenta ai voleri della madre. Bholanathji si trovò trattato amichevolmente ma con deferenza, che gradì molto. Ben presto scese su di lui il mantello di guardiano responsabile di un tesoro prezioso e indossò questo ruolo con rispetto e competenza per tutta la vita, fino alla sua morte nel 1938.

E’ stato scritto molto a proposito della purezza e della castità assoluta della vita coniugale di Sri Ma e Bholanathji. Sono parole in effetti inadeguate perché sarebbe meglio dire che tali questioni non sorsero mai tra loro.

Bajitpur. Da Ashtagram, Bholanathji si trasferisce a Bajitpur.

La cittadina di Bajitpur ha assunto un significato speciale per i devoti di Sri Ma, come il luogo in cui lei si incamminò lungo il percorso della sua intensa sadhana. Raccontò in seguito come accadde: “Un giorno a Bajitpur ero andata al bacino d’acqua vicino alla casa in cui alloggiavamo, per il mio bagno quotidiano. Mentre mi rovesciavo dell’acqua sulla testa, mi sorprese un Kheyala: ‘come sarebbe vivere la parte del Sadhaka?’ e così incominciò la Lila.” Queste due parole usate costantemente in relazione a Sri Ma, necessitano di qualche spiegazione. Kheyala si può tradurre con “un pensiero spontaneo”, distinto da un atto di volontà o dal desiderio per un fine. Generalmente manifestava la forma dei bisogni delle persone intorno a lei. Quando un Kheyala era stato espresso incominciava una serie di eventi concatenati che portavano al suo pieno compimento. Sri Ma apparve sempre equamente soddisfatta di ogni genere di risultati che derivavano dai Kheyala. Lila si potrebbe tradurre con “puro gioco” -  ovvero un’attività fine a se stessa.

I Kheyala erano azioni che si manifestavano spontaneamente. Ogni sera Sri Ma spazzava le stanze e il cortile. Accendeva un incenso e percorreva il perimetro della casa con il braciere in mano. Si prendeva cura di Bholanathji di ritorno dal lavoro, fino al momento di preparargli la hooka per fumare dopo cena. Quando Bholanath era a posto, gli chiedeva il permesso di dedicarsi per un po’ alla Sadhana. Permesso che le era prontamente accordato. Dunque Sri Ma si sedeva in un angolo della loro stanza e ripeteva a voce la parola “Hari, Hari, Hari…” per la sola ragione che aveva imparato a cantare questo Nome da suo padre durante l’infanzia. Bholanathji la vedeva diventare sempre più assorta nel mondo della gioia interiore. Dopo alcuni giorni di questo esercizio, la vide assumere spontaneamente posizioni yogiche o asana. La prima della serie fu probabilmente la siddhasana. Bholanathji sapeva bene che la moglie non possedeva alcuna conoscenza acquisita di yoga o di asana; questi fenomeni accadevano spontaneamente. Un giorno le disse “Perché reciti ‘Hari’? Noi non siamo Vaishnava.” Sri Ma chiese: “Devo dire Shiva, Shiva?” Bholanathji fu soddisfatto. Il cambiamento di Nome non produsse alcun cambiamento sull’andamento della Sadhana.

Sri Ma dichiarò di non contemplare alcuna forma durante la ripetizione dei Nomi divini. Il suono era tutto. Le sillabe erano come la risonanza di un battito onni-pervadente. Il suo corpo si trovava in sintonia con il rimo universale che sostiene tutto l’esistente. Era come uno strumento per l’esecuzione della musica cosmica. Sembrava diventare una cosa sola con il suono delle lettere che pronunciava; il corpo si muoveva ritmicamente nella danza vibrante dalla coreografia soprannaturale, diretta da una potere interiore. Talvolta restava immobile per ore, totalmente assorta nella beatitudine interiore. In tali occasioni il suo corpo emetteva una luminosità che era visibile ai presenti, Bholanathji la guardava ammaliato, mai dubitando della genuinità delle manifestazioni; fu inflessibile nel respingere i commenti maligni di alcuni vicini, che si rifiutavano di comprendere ciò di cui erano stati testimoni.

Sri Ma condusse la vita del pellegrino spirituale per circa sei anni; durante questo periodo iniziò e procedette nella pratica spirituale in maniera sistematica. Bholanathji capì di trovarsi in presenza di una incarnazione speciale del Divino. Lui stesso ricevette la tanto desiderata iniziazione da Sri Ma durante il primo anno di manifestazione. Di conseguenza la loro relazione acquisì una nuova dimensione – quella di Guru e discepolo, sebbene Sri Ma non mutò mai la propria attitudine di obbedienza e reverenza nei confronti di Bholanathji.

Di questo periodo della sua vita Sri Ma disse: “Esistono numerosi generi di Sadhana, che significa disciplina volta alla realizzazione del Sé, e ciascuno possiede innumerevoli aspetti. Tutti si rivelarono a me come parte di me stessa.” In anni successivi ebbe occasione di parlare delle sue esperienze in incontri di asceti, studiosi e altri ricercatori. I pandit si meravigliarono della sua conoscenza di ogni fede religiosa, fin nel dettaglio dottrinale. Sri Ma disse comunque aveva potuto riferire solo di una millesima parte di ciò che le era stato rivelato durante i suoi anni di Sadhana intensiva. Ad un certo punto, nel 1922, divenne maunam, cioè silente. Questo silenzio avvenne a sancire il completamento della Sadhana. Dopo il periodo maunam iniziò a conversare con i visitatori sui temi religiosi.

Da Bajitpur Sri Ma e Bholanath si trasferirono a Dhaka il 10 aprile 1924. Bholanath fu assunto come direttore del Shahbagh Garden, parte del complesso Nawabzadi Pyari Bano. Molte della persone che li avevano conosciuti ad Ashtagram e Bajitpur avevano contatti a Dhaka. Perciò cominciò a circolare la voce che la giovane moglie che abitava nei giardini Shahbagh era dotata di straordinari doni spirituali. Giunsero molti visitatori spinti dalla curiosità e rimasero come devoti per il resto dei loro giorni.

In ossequio ai costumi ortodossi del tempo, Sri Ma si mostrava in pubblico velata. Se Bholanathji le chiedeva di parlare con qualcuno lo faceva, altrimenti no. Le donne, ovviamente, erano libere di farle visita sempre e presto ce ne furono attorno a lei moltissime. Gli uomini continuavano a trovarsi in svantaggio per timore dell’opinione pubblica, finché Bholanathji si assunse un ruolo cruciale. Presto si cominciò a identificarlo come Baba Bholanath, persona di meritato rispetto. Sotto la sua protezione, la folla crescente assunse il carattere di una famiglia sempre più numerosa ma profondamente unita.

Tra i primi devoti c’era Sri Jyotish Chandra Rai, che è noto col nome di Bhaiji; Sri Shashanka Mohan Mukherji (poi Swami Akhandanandaji) e sua figlia Adorini Devi, nota ai devoti come Gurupriya Devi o Didi. Sri Nishikanta Mitra, Sri Pran Gopal Mukherjee, Sri Niranjan Rai, Sri Baaul Chandra Basak (amico di sempre di Bholanathji) e molti altri.

I genitori di Sri Ma furono invitati da Bholanathji a raggiungerli a Shahbagh. Persero il nome di Didima (Madre della Madre) e Dadamashai (Padre della Madre). Da loro i devoti di Dhaka appresero le notizie sull’infanzia di Sri Ma. I fratelli e le sorelle di Bholanathji e le rispettive famiglie arrivarono a Dhaka dopo alcuni anni. Una delle sorelle dichiarò: “Dopo la morte di nostro padre ci eravamo un po’ dispersi; ora Badhuthakurani (un termine per indicare la moglie del proprio fratello) ci ha permesso di riunirci di nuovo come una famiglia”.

A Dhaka, Sri Ma viveva in un’atmosfera di miracoli. Il suo tocco risanatore fu sperimentato da persone vicine e da stranieri. La si vedeva abbandonasi all’estasi del Samadhi e del Mahabhava durante i Kirtan. Un testimone oculare racconta così uno di questi episodi: “ Un momento prima Sri Ma era seduta come una di noi. Il momento successivo era cambiata completamente. Il suo corpo oscillava ritmicamente. Il sari le cadeva dalla testa. I suoi occhi erano chiusi e tutto il suo corpo si muoveva al ritmo del kirtan. Ancora col corpo che dondolava si alzava in piedi, o meglio era sollevata sui piedi. Sembrava come se avesse abbandonato il corpo, che si era trasformato in uno strumento nelle mani di un potere invisibile. Era evidente a tutti che non c’era volontà nelle sue azioni. Sri Ma era chiaramente inconsapevole e in completo abbandono. Girava in tondo nella stanza come sospinta dal vento. A volte il suo corpo iniziava a cadere a terra, ma prima di aver completato il movimento riguadagnava la posizione eretta, come una foglia nel vento che fluttua fino al suolo per poi esserne sollevata da un soffio”.

Sri Ma si muoveva al suono del Kirtan per alcuni istanti. Dopo si accasciava in Samadhi per molte ore. Era Bholanathji a decidere quando cercare di risollevarla. Siccome lei avrebbe seguito il Kheyala di obbedirlo, lui la chiamava ripetutamente, finché lei apriva gli occhi e diceva: “Vuoi che mi alzi?” con un filo di voce. A questo punto lui chiedeva alle donne di strofinarle le mani e i piedi gentilmente, di parlarle e di farle delle domande. In questo modo lentamente Sri Ma veniva riportata nel mondo ordinario.

L’alternanza di stati di coscienza, tra normalità e trascendenza, fu una caratteristica costante e inalienabile del comportamento di Sri Ma. Fu talvolta paragonato all’apparire improvviso del fulmine nel cielo. Una descrizione ne dice: “Era come sperimentare simultaneamente la luce del sole e della luna. Prima che si venisse accecati e sopraffatti dai raggi del sole, si veniva accarezzati e rassicurati da un gentile chiarore lunare.”

Questi stati furono frequenti e visibili a tutti in questo periodo, ma accadevano già nell’infanzia e nel periodo trascorso presso la famiglia di Revati Mohan. Non furono compresi da coloro che le erano vicini a quel tempo e credute delle crisi passeggere che sarebbero scomparse con la crescita. L’atteggiamento di Sri Ma era nell’insieme così radioso e sorridente che era facile perdonarle alcuni segnali di ripiegamento improvviso nel suo mondo interiore.

I giorni felici della vita comune intorno a Sri Ma furono però brevi. Sri Ma iniziò i suoi viaggi nel 1927. Baba Bholanath desiderava visitare alcuni luoghi di pellegrinaggio. Viaggiarono a lungo. I devoti di Dhaka lentamente fecero l’abitudine alle frequenti assenze di Sri Ma. Divenne chiaro che Sri ma aveva il kheyala di lasciare Dhaka. I devoti costruirono un piccolo Ashram per lei, ma il kheyala di Sri Ma a partire si rivelò più forte. Accompagnata da Bholonath e Bhaiji, Sri Ma lasciò Dhaka il 2 giugno 1932.

Viaggiando a caso giunsero a Dehra Dun. Da lì trovarono un sentiero per Raipur, un remoto villaggio dell’interno. Si sistemarono in un tempio in rovina dedicato a Shiva, a poca distanza dal villaggio. Questo fu l’inizio di una nuova vita per due di loro. Bholanathji di dedicò alla sadhana completamente. Bhaiji si rimboccò le maniche a svolgere i compiti che fino a poco tempo prima aveva affidato ai servitori. Spazzare e pulire, lavare i panni, cucinare pasti primitivi erano i suoi duri compiti. A volte Sri Ma lo aiutava, ma in generale vagava per la zona in solitudine o si sedeva insieme alle donne del villaggio.

Quando fece ritorno a Dhera Dun, lei e Bhaiji si stabilirono al tempio di Manohar di Ananda Chowk. Bholanathji trascorse quasi tre anni ad Uttarkashi praticando austerità. A Dhera Dunn lei entrò in contatto con le famiglie originarie del Kashmir che vivevano lì. Sri Hari Ram Joshi divenne un devoto e un grande ammiratore di Bhaiji. Era un uomo di forti convinzioni e aveva il coraggio delle proprie convinzioni. Offerta la propria fedeltà a Sri Ma, fece del suo meglio per portare ai suoi piedi tutti i suoi amici. Fu lui il tramite per presentare Kamala Nehru a Sri Ma. L’ardente devozione di Kamala Nerhu fu memorabile per intensità e durata. Avrebbe poi raccontato le sue esperienze in Svizzera, dove influenzò numerosi amici che si recarono in India per conoscere Sri Ma. Il Mahatma Gandhi sentì raccontare a lungo di Sri Ma da Kamalaji e il suo collaboratore di fiducia, Sri Jamnalal Bajaj, divenne devoto di Sri Ma, che incontrò direttamente Gandhiji nel 1942. Negli anni successivi Jawaharlal Nehru e Indira si recarono da Sri Ma, coinvolti dai racconti di Kamalaji nei suoi ultimi giorni.

Dhera Dunn divenne un’altra Dhaka. I tradizionali raduni gioiosi si diffusero in altre città come Delhi, Meerut, Lucknow, Solon e Simla . A Simla il festival Hari-kirtan ricevette una ventata di vita nuova per la partecipazione entusiastica di Sri Ma e di Bholanathji. Bholanathji aveva raggiunto di nuovo Sri Ma di ritorno da Uttarkashi. Fu presentato ai nuovi devoti e accettato di tutto cuore come Pitaji (padre).

Due crisi irruppero nella felice comunità che navigava a vele spiegate: Bhaiji spirò in Almora nell’agosto del 1937 e Bholanathji lasciò la sua famiglia di devoti nel maggio 1938 presso il Kishenpur Ashram. Con la morte di Bholanathji la personalità di Sri Ma emerse in una nuova luce. Era stata una moglie devota e lo aveva servito personalmente in ogni circostanza, anche durante la malattia. Durante l’ultima malattia di Bholanathji lei fu costantemente al suo fianco. Morì con la testa tra le sue mani espirando il nome “ananda”. Si comprese che aveva espresso così il suo stato di beatitudine e di pace.

Molti devoti supposero che Sri Ma ne fosse sconvolta, ma furono sorpresi nel constatare che in lei non c’erano segni di dolore. Era serena come sempre. Notò la loro reazione e disse gentilmente: “Vi mettete forse a piangere e a gemere se una persona va in un’altra stanza della casa? La morte è inevitabilmente connessa alla vita. Nella sfera dell’Immortalità, cosa può dirsi morto o perduto? Nessuno è perduto per me.” I seguaci di Sri Ma capirono qualcosa di più del significato del suo totale distacco unito alla straordinaria compassione per le persone.

Con il passare degli anni l’enigma della sua personalità si approfondì; fin dalla nascita Sri Ma era stata pienamente auto-cosciente; quando si immerse nella Sadhana, tutto le fu rivelato dai suoi Kheyala. Era praticamente una ragazza analfabeta di villaggio, ma quando iniziò a insegnare si espresse nel linguaggio degli studiosi più eruditi, senza commettere il minimo errore nella logica delle argomentazioni. Era del tutto consapevole delle differenze dottrinarie e mai confuse le une con le altre nelle conversazioni che intrattenne con gli istruiti pandit. Così come non era stata iniziata ad alcun ordine religioso o scuola di yoga, non aveva incontrato Guru che potessero averla influenzata. Neppure si ritirò mai dal mondo per abbracciare la vita eremitica; né si sottrasse mai ad amici e parenti. Non aveva svolto la sadhana come è intesa generalmente nella tradizione, eppure poteva parlare con autorità di tutti gli aspetti della ricerca religiosa. Per questi fatti adoperiamo la parola “unica” per descriverla.

Sri Ma continuò a viaggiare come sua abitudine senza itinerari prestabiliti e senza scegliere in anticipo i suoi compagni. Una folla eterogenea la circondava sempre. Spesso accadeva che queste persone non parlassero neppure la stessa lingua. Gente proveniente da province diverse e da differenti cammini di vita si mescolavano insieme in una felice commistione. Si sapeva che Sri Ma accettava gli inviti alle funzioni religiose. Così i devoti organizzarono in varie città le celebrazioni per Bhagavat Saptah, Durga Puja, Chandipath etc e implorarono la sua presenza. Dovunque Sri Ma si recasse, diventava immediatamente il centro di raduno di migliaia di persone. Non c’era un’organizzazione centrale attorno a Sri Ma; chiunque ne era capace se ne occupava per quanto gli era possibile. Le cose si aggiustavano da sole. E’ difficile descrivere la totale improvvisazione dell’organizzazione attorno a Sri Ma. Se non lo si è visto di persona, non è possibile credere alle fotuite coincidenze di eventi che sembravano esaudire i kheyala di Sri Ma per i viaggi, gli accompagnatori e gli alloggi.

In tutte le principali città che Sri Ma visitava i devoti si riunirono per costruire un Ashram dopo l’altro, ma non furono in grado di limitare i suoi spostamenti né di offrirle delle comodità durante i periodi di permanenza, perché sovente lei neppure li visitava, preferendo recarsi in qualche altro luogo.

Nel 1940 Sri Ma entrò in contatto con Sri Prabhu Dattaji Maharaj di Jhunsi, un Mahatma molto rinomato. Questi la invitò a raggiungere un concilio di sadhu a Jhunsi nel 1944, dove giunsero per conoscerla altri Mahatma, Sri Haribabaji Maharaj, Sri Chakrapaniji e Sri Sharananandaji. Però il Sadhu Samaj avrebbe evitato l’incontro perché l’ospite era incarnata in una forma femminile. Sri Prabhu Dattaji decise di demolire questa barriera artificiale. Infine Haribabaji Maharaj le conferì i massimi onori possibili. I capi di altre congregazioni monastiche riconobbero in lei la quintessenza della tradizione delle Upanishad e accentarono le sue parole come quelle delle Scritture.

Su indicazione di un kheyala di Sri Ma, presso il nuovo Ashram di Varanasi si diede inizio a un grande Savitri Yajna il 14 gennaio 1947. Il Samkalpa (richiesta, beneficio) era “Il Bene dell’Umanità”. Vi era forte tensione nel Paese a poca distanza dalla proclamazione dell’Indipendenza nell’agosto dello stesso anno. Ciò nonostante lo Yajna procedette senza intoppi e giunse a una conclusione spettacolare il 14 gennaio1950. L’occasione fu premiata dalla partecipazione di un grande numero di Mahatma e visitarono la cerimonia principi, artisti di fama, personalità politiche, oltre a un gran numero di persone comuni. La presenza di Sri Ma conferiva alle cerimonie un lustro particolare e questo Yajna solenne e grandioso ebbe un impatto impressionante sui partecipanti.

La funzione di maggior richiamo che si tenne sotto l’egida di Sri Ma fu il Samyam Saptah (settimana dedicata alla sadhana intensiva da svolgere in collettività). Sri Ma aveva espresso molte volte l’importanza di osservare alcune restrizioni di condotta, almeno una volta la mese o alla settimana. Sri Jogibhai, Presidente del Sri Anandamayee Sangha suggerì di organizzare un Samyam Saptah in presenza di Sri Ma, così che tutti i devoti si potessero riunire con questo programma. Il primo Saptah si tenne nel Varanasi Ashram nel 1952. I partecipanti avrebbero osservato il digiuno completo durante il primo e l’ultimo giorno. Nei giorni intermedi, Sri Ma stessa stabilì un menù molto semplice per un pasto quotidiano. Sotto la sua guida si programmarono le attività giornaliere: dopo la puja individuale, tutti i partecipanti si dovevano riunire nella Sala Centrale per l’ascolto delle Scritture, il Kirtan e la meditazione. Le porte dovevano restare chiuse per non subire alcun disturbo. Dopo una breve pausa pomeridiana per mangiare e per un po’ di riposo, rientro in assemblea per la sessione serale, e così via.

Questa iniziativa ebbe una popolarità straordinaria. Tutto l’Ashram vi si radunò e giunsero Mahatma da vicino e da lontano. Si potevano ascoltare lezioni tenute da oratori che non si sarebbero potuti avvicinare in altre occasioni. Si leggevano testi rari e si ascoltava ottima musica. La parte migliore della giornata era alle 9.30 della sera, quando Sri Ma rispondeva alle domande della gente. La giornata passava in un lampo nell’attesa dell’ora e mezza serale di “matri satsang”. I partecipanti erano meravigliati di poter vivere una condotta ascetica per una settimana intera senza provare alcuna fatica.

Il solo modo per comprendere Sri Ma è non paragonarla a nessun altro luminare del nostro cielo spirituale. Il riconoscimento che ottenne nella vita avvenne solo per la sua presenza. Così disse Swami Chinmayananda di lei; “Quando il sole splende nessuno ha bisogno di dimostrare lo splendore del sole.” L’armonia degli opposti fu il tema sottostante di tutta al sua vita. Nel mezzo dello splendore e della magnificenza che sembravano inevitabili dovunque lei si trovasse, viveva come un asceta. Per tutta la vita si nutrì pochissimo. Oltre ai mesi in cui si asteneva completamente dal cibo, come accadeva periodicamente, seguì altre restrizioni. Per molti anni fu solita mangiare a giorni alterni. Quando qualcuno se ne lamentava, rispondeva: “Non è affatto necessario mangiare per mantenere in vita il corpo. Mangio soltanto per mantenere una parvenza di normalità, così che non vi sentiate a disagio con me.” L’inappetenza non era collegata ad alcuna patologia. Era in ottima salute quando non mangiava nulla. Alcune malattie comparirono e scomparirono da sole, in altre circostanze.

Nel corso della sua vita incontrò quasi tutti i personaggi politici che salirono al potere dopo l’Indipendenza. Non parlarono mai con lei di questioni di Stato. Lei parlava loro solo di Dio e delle aspirazioni religiose degli uomini.

Alcuni devoti, per lodare il suo messaggio universale, dicono che riconosceva tutte le religioni come autentici cammini verso Dio. E’ ancora poco. In realtà Sri Ma non percepiva alcuna differenza sostanziale; per lei ogni cosa era l’Uno soltanto. La stessa cosa si può dire del trattamento riservato alle donne. Non riconosceva alcuna inferiorità o superiorità. Esigeva (se così si può dire) la stessa elevata disposizione ascetica dai brahmachari e dalle brahmacharini dell’Ashram. Purezza di parola, di azione e di pensiero era l’ideale costante, che stabilì per tutti i viaggiatori del sentiero della Realizzazione divina.

Quando Sri Ma parlava con persone giovani, di mentalità moderna, mostrava di essere completamente al corrente delle istanze del tempo; ciò non di meno, i suoi interlocutori non riuscirono mia a farla scendere a compromessi. Con grande senso dell’umorismo e comprensione riusciva sempre a coinvolgerli fino a farli accettare la sua richiesta di ricercare Colui che è nascosto nel profondo del cuore. Per tutti i devoti il sentimento nei confronti di Sri Ma può essere espresso con le parole di questo testo :

bhidyatehrdayagranthicsahhidyante sarvasainsayah kshiyante casya karmani tasmin drste paravare

Il nodo del cuore è stato dissolto, tutti i dubbi sono svaniti. La schiavitù è finita vedendo Lui, che è qui e oltre. (Mundakopanisad 11.2.8)

In retrospettiva sembra di vedere che Sri Ma iniziò il processo di riassorbimento in sé molto prima del tempo. Divenne sempre più ritirata e indisponibile perché, si disse, non stava bene.  Tutti i suoi devoti sapevano che il malessere si verificava perché non le era possibile impedirglielo. Molte volte aveva detto: “Perché tanto avversione verso le malattie? Esse giungono a questo corpo proprio come fate voi. Dico forse a voi di andarvene?” Per assecondare le preghiere dei suoi compagni, Sri Ma fu vista alcune volte impegnata in esercizi di yoga adatti a guarire i suoi malanni. Alla fine degli anni ‘70 e nel 1981, però, non aveva il kheyala di rispondere ad alcuna  preghiera per la propria guarigione. Cercò di far fronte ai vari impegni. Non sembrava malata, ma bellissima e serena come sempre; ma infine i devoti si rassegarono all’idea che non avrebbero avuto il suo darsana con la solita facilità. A parte pochissime eccezioni, cancellò ogni apparizione pubblica e rifiutò ogni impegno pratico. Il suo ultimo kheyala sembra sia stato la celebrazione dello ati Rudra Yajna a Kankhal. Fu il più straordinario degli Yajna Vedici. Con la guida di Sri Ma fu celebrato con tale splendore e scrupolosa aderenza a ogni dettaglio delle ingiunzioni rituali che i sapienti dichiararono che Sri Ma aveva dato inizio al Satya Yuga.

Negli ultimi giorni Sri Ma era serena, ma stranamente sembrava sottrarsi alle preghiere delle persone attorno a lei. Di solito prestava la massima attenzione alle parole dei Mahatma, ma ora alle preghiere per la sua guarigione sorrideva e diceva: “Non c’è Kheyala”. Lo Sri Jagadguru Sankaracharya of Shringeri, Sarada Peetham, volle invitarla a Sringeri in occasione dell’annuale Durga Puja e desiderava perciò che si ristabilisse al più presto. Lei gli rispose con la consueta gentilezza: “Questo corpo non è malato, Pitaji. E’ stato richiamato dall’Immanifesto. Qualsiasi cosa vedrà accadere ora è finalizzata a quell’evento”. Quando fu il giorno di dirgli addio (2 giugno) di nuovo ribadì la sua impossibilità di soddisfare la sua richiesta , dicendo: “Come l’Atman, io vivrò sempre con voi”.

Allo stesso modo, con altri mezzi, Sri Ma prese a svezzare i devoti dalla sua presenza fisica. Non rispondeva alle lettere ricevute, eppure chi le scriveva riusciva a percepire la sua presenza direttamente nel cuore e trovava risposta alle proprie domande. Non partecipò più alle funzioni religiose che comunque continuarono a svolgersi nell’Ashram con l’usuale scrupolosità. Smise di prendere cibo per alcuni mesi. Le ragazze che la assistevano potevano darle solo alcune gocce d’acqua in rari momenti. Sri Ma trascorse i suoi ultimi giorni nell’Ashram di Kishenpur. Non pronunciò alcun addio tranne le parole “Shivaya Namah” nella notte del 25; questo mantra segnò la dissoluzione finale dei legami mondani. Ritornò all’Immanifesto la sera di venerdì 27 agosto 1982, verso le 8 di sera.

Kankhal, situata ai piedi dell’ Himalaya, è una terra sacra. Tutti gli ordini monastici hanno una propria sede generale ad Hardwar. Per decisione unanime l’intera corporazione dei Mahatma si riunì per trasportare i resti terreni di Sri Ma. Le fu tributato il massimo onore; una processione di migliaia di persone scortò il veicolo con il suo corpo da Dehra Dunn a Kankhal. Il Mahanirvani Akhadha officiò l’ultimo rito del Samadhi. Così come Sri Ma aveva sempre detto di appartenere a tutti, tutti si radunarono per tributare l’estremo saluto al corpo umano che aveva sostenuto l’amatissima Ma per 86 anni.

Sri Ma venne in un’epoca in cui l’India e il mondo attraversavano crisi epocali. Ella rimase unita alla gente attraverso tutte le vicende della sua epoca, impartendo speranza e consolazione e sostenendo gli ideali antichi della tradizione sull’impatto soverchiante delle influenze aliene. Comprese perfettamente le implicazioni della tecnologia nell’era presente e con il suo esempio di vita orientò alla corretta prospettiva coloro che desiderano vedere al di là di essa. Che Dio, cioè, è presente nel mondo scoperto dalla ricerca scientifica quanto lo era nell’era della mitologia.

Noi riteniamo che il suolo di Bharatvarsha sia sacro. Per una volta vediamo in India non soltanto apparire un maestro o un santo, ma un esempio vivente dello stile di vita che è la quintessenza del suo spirito. L’India alimenta l’incontro tra il cielo e la terra, la commistione dell’ordine a-temporale con l’ordine del tempo, l’incontro tra l’eterna aspirazione dell’uomo e la discesa della Grazia. Un giorno questo sogno si avvera. Incontriamo un Maestro, uno Jagadguru, che non solo risveglia coloro che ricercano la Verità, ma infiamma e sostiene la fede verso la sua piena realizzazione.

Sri Ma rimane per sempre con noi nelle sue parole immortali, tra le quali ci è particolarmente cara questa frase: “Ma è (io sono) qui, di cosa vi preoccupate?” (Ma Adzhen, kiser cinta?)

Dal testo di  Bithika Mukerji :

http://www.anandamayi.org/

L’insegnamento di Sri Ma dalle sue parole

<<Questo corpo dice che il rimedio eccellete per ogni male è Dio. Credete in Lui, dipendete da Lui, accettate tutto quello che accade quale Sua disposizione, consideriate ciò che fate come servizio a Lui, cercate la compagnia dei saggi, pensate a Dio con ogni respiro, e vivete alla Sua presenza. Lasciate tutti i fardelli nelle Sue mani e lui penserà a tutto; non ci sarà più alcun problema.

Tutto questo, che è Sua creazione, è sotto la Sua disposizione, esiste alla Sua presenza, è in realtà Lui stesso. In qualsiasi condizione ci ponga, è sempre a fin di bene, poiché ogni cosa è disposta da Lui e Gli appartiene. La felicità relativa, che si manifesta in relazione a qualcosa, si esaurisce nel dolore. E’ dovere dell’uomo meditare su Dio che è Pace. Se non si ricorre a ciò che istruisce al ricordo di Dio, non può esserci pace. Non avete visto com’è la vita in questo mondo? Il Solo da amare è Dio. In Lui c’è tutto – Lui solo dovete ricercare.

L’essere umano dovrebbe accettare di vivere soltanto la più nobile e irreprensibile linea di condotta. Sarebbe una gioia immensa se tutti si sforzassero di modellare la propria vita su questo ideale. Solo le azioni che illuminano la natura divina dell’uomo meritano il nome di azioni; il resto sono non-azioni, spreco di energie. Ogni comportamento che non permette di risvegliare il divino nell’umano deve essere escluso, non importa quanto appaia allettante; e tutto ciò che aiuta il risveglio della divinità innata nell’uomo deve essere adottato risolutamente, anche se appare indesiderabile. La vocazione dell’uomo è aspirare alla realizzazione della Verità, percorrere il sentiero dell’eccellenza che conduce all’Immortalità. Ciò che pare delizioso ai sensi si trasforma in veleno subito dopo,  generando disordine interiore e disastro, poiché appartiene al dominio della morte.

In qualunque direzione volgete lo sguardo trovate Un solo Essere Eterno e Indivisibile che si manifesta. Eppure non è facile riconoscere questa Presenza, perché Egli compenetra tutto. Così come un re è riconosciuto per il proprio titolo, come il fuoco è conosciuto per il suo calore, così l’Immanifesto rivela Sé stesso attraverso il mondo della manifestazione. Le analisi sulla materia di tutte le cose create, se condotte sufficientemente a fondo, porteranno alla scoperta che ciò che rimane è identico ed egualmente presente in tutte le creature: è Lui, Quello che è definito Pura Coscienza.

Se, nel mezzo delle diversità del mondo delle apparenze, fate uno sforzo costante a svolgere il vostro lavoro come un servizio all’Onnipotente Padre dell’Universo, nel vostro cuore si risveglieranno l’amore e la devozione per Lui. Quando i muri della prigione dell’ego saranno crollati, diventerete sempre più ostinati e innamorati della ricerca della Realtà. Allora le differenti immagini della percezione si fonderanno in un solo quadro e gli stati d’animo e i sentimenti divergenti si tufferanno nel grande oceano della Beatitudine.

Il Corpo Universale di Dio comprende tutte le cose, alberi, fiori, foglie, colline, montagne, fiumi, oceani, e il resto. Verrà un tempo, deve venire, in cui si percepirà la Forma Universale dell’Uno che pervade ogni cosa. La verità delle Sue forme e sembianze è infinita, innumerabile, senza fine. Come il ghiaccio non è altro che acqua, così l’amato è senza forma, senza qualità e non esiste problema di manifestazione. Quando si è realizzato ciò, si è realizzato il proprio Sé. Dunque, trovare l’Amato è trovare il proprio Sé, scoprire che Dio è la propria natura, completamente identica al proprio Sé, il più profondo Sé, il Sé del sé. Occorre per prima cosa entrare in confidenza con Colui che intendete invocare. Pensare e parlate costantemente di Lui, guardate le sue immagini, cantale le sue lodi o ascoltate musica sacra, visitate luoghi di pellegrinaggio, cercate la solitudine o associatevi a persone sante e sagge, e diverrete famigliari con Lui. Quando questo sarà fatto, potrete chiamarlo “Padre” o “Madre”. Si deve stabilire una relazione di questo tipo con Lui, perché gli esseri umani non riescono a provare affinità a meno di definire il legame con questi termini. Siete abituati ai legami di parentela nella vita mondana; perciò dovete stabilire questo genere di relazione anche a livello spirituale. Sebbene all’inizio potreste non sentire profonda devozione, imparate a invocarLo incessantemente con la ripetizione del Suo nome, o con qualsiasi altro metodo, finché gradualmente Lui riempirà il vostro cuore. La preghiera, la meditazione e la carità offerta in Suo nome sono necessarie anche dopo che si sia saldato il legame d’amore, e devono essere proseguite costantemente. In questo modo la consapevolezza di Lui diventerà la vostra seconda natura e non vi lascerà fino all’ultimo respiro. E’ questo che si chiama Comunione con Dio.

Ascoltate! Non lasciate trascorrere il vostro tempo inutilmente. Tenete sempre con voi un rosario e recitate il japa; oppure, se non vi piace, almeno ripetete il Nome del Signore regolarmente e senza interruzioni come il ticchettio dell’orologio. Non esistono regole o restrizioni in questo. InvocateLo con il Nome che preferite, per tutto il tempo che potete – più lo fate, meglio è. Se vi stancate o perdete interesse, somministratevi il Suo Nome come una medicina che deve essere presa. Con questa pratica, quando sarà il momento propizio, scoprirete il rosario della mente, e udirete continuamente dentro di voi la lode del Maestro Supremo, Signore della Creazione, come la musica costante dell’oceano illimitato; ascolterete la terra e il mare, l’aria e il cielo risuonare il canto della Sua gloria. Questo è chiamato la onnipervadente Presenza del suo nome.

Il japa silenzioso va recitato sempre. Non si sprechi il respiro; quando non si ha niente di speciale da fare, si reciti silenziosamente il japa al ritmo del proprio respiro. Questo esercizio deve proseguire finché il japa diventi naturale come il respiro.

E’ molto importante leggere i testi sacri e il libri di saggezza. Dite sempre la verità. Ricordate che il Nome di Dio e Esso stesso una Sua forma; fate che diventi il vostro inseparabile amico. Esercitatevi al massimo per non rimanere mai senza di Lui. Più intenso e continuo sarà il vostro sforzo per vivere alla Sua Presenza, maggiori saranno le possibilità di crescere nella gioia e nell’armonia. Quando la vostra mente è libera, lavorate per riempirla con la consapevolezza di Dio e con la Sua contemplazione.

Supremo Padre, Madre e Amico – Dio è davvero tutto questo. Di conseguenza, quale potrebbe essere la causa o la ragione della Sua Grazia? Voi siete suoi, e in qualunque modo Lui vi stia portando a Sé, è per rivelarSi a voi. Il desiderio di trovare Dio che si risveglia improvvisamente nell’uomo, chi lo instilla? Chi vi fa adoperare per soddisfare questo desiderio? Dovete giungere alla comprensione che tutto origina da Lui. Qualsiasi facoltà o competenza possediate – sì, proprio voi -da dove proviene? E non è forse finalizzata a trovare Lui, il distruttore del velo dell’ignoranza? Tutto ciò che esiste ha la propria origine in Lui soltanto. Dunque dovete cercare di realizzare il vostro Sé. Potete dire di essere padroni anche di un solo respiro? Fino al minimo livello Lui vi fa sentire liberi di agire, se comprendete che questa libertà deve essere usata per aspirare alla Sua realizzazione, per il vostro bene. Ma se credete di essere voi agenti e Dio molto lontano e se, a causa della Sua apparente lontananza, operate per la soddisfazione dei desideri, agite in modo errato. Dovete vedere tutte le cose come una Sua manifestazione. Quando riconoscete l’esistenza di Dio, Lui si rivela a voi come il compassionevole, il benevolo o il misericordioso, in accordo con la vostra attitudine nei Suoi confronti in quel momento – così, ad esempio, per l’umile diventerà il Signore degli Umili.

Attraverso il respiro, la Coscienza diventa Materia. Tutto ciò che vive respira. Quando il respiro si ferma, si muore. La vita fisica dipende dal respiro. Mediante il Prana, la materia diventa viva. I desideri e la mente agitata rendono il respiro impuro. Perciò vi consiglio la pratica della concentrazione sul respiro combinata con la ripetizione di uno dei Nomi di Dio. Se il respiro e la mente diventano concentrati in un solo punto e stabili, la mente si può espandere all’infinito, e tutti i fenomeni possono essere inclusi in quel solo punto. Se meditate Dio con il respiro purificate il Prana, la guaina corporea e la mente. Se respirate meditando il Nome di Dio, sentirete il richiamo della Sua Grazia.

Il Sé, o Dio, è inconoscibile all’intelligenza ordinaria, ma non ci è ignoto quale respiro vitale. Se si adopera il ritmo del proprio respiro come supporto alla meditazione, si alimenta l’energia individuale. Perciò si deve sedere in meditazione in un luogo solitario e rivolgere la mente all’interno, quindi ripetere il mantra al ritmo del proprio respiro, senza forzature, in modo naturale. Quando dopo una lunga pratica, il Nome diventa inscindibilmente collegato al respiro e il corpo bel saldo, si arriva a realizzare che l’individuo è parte di Una Grande Vita che pervade l’Universo.

Io sono una bambina e voi siete i miei genitori. Accettatemi così e accordatemi un posto nel vostro cuore. Dicendo “Madre” mi tenete a distanza. Le madri devono essere riverite e rispettate. Ma una bambina vuole solo essere amata e accudita ed è cara al cuore di tutti. Questa è la mia sola richiesta per voi: lasciate un posto per me nel vostro cuore!.>>

http://www.srianandamayima.org/

La Tradizione degli Yogi

GORAKHNATH E LA TRADIZIONE NATH

 

Adya (il principio maschile primordiale) e Adyā (il principio femminile primordiale) erano i due antichi dei che diedero inizio alla creazione. Successivamente nacquero quattro Siddha, dopo di loro nacque una ragazza, il cui nome era Gaurī. Per ordine di Adya, Śiva la sposò e discese sulla Terra. I nomi di quei quattro Siddha erano Mīnnāth (Matsyendranath), Gorakṣnath, Hāḍiphā (Jalendharnath) e Kānphā. Dal momento in cui furono creati, restarono assorti dalla pratica dello yoga e si sostenevano solo di aria. Goraksh Nath era al servizio di Mīn-nāth e Kanphanath era di Hāḍipā. 

dal Navanath Katha

Goraksha Sataka

La Centuria dei Versi di Gorakhnath

Om! Incomincia la centuria di Goraksha sull'Hata Yoga!
1. Mi inchino al venerabile Guru Matsyendranath, supremo bene, incarnazione della gioia; la cui semplice prossimità trasforma il corpo in pura coscienza e beatitudine.
2. Colui che, in virtù della paatica dell'adhdrbandha e delle altre tecniche posturali, illuminato dalla luce della coscienza, è lodato come Yogi e quale essenza e misura del tempo, degli yuga e dei kalpa, Colui in cui il Signore, oceano di conoscenza e beatitudine, ha preso forma, Colui che è superiore a tutti gli attributi qualitativi, manifesti e immanifesti, questi, Sri Minanath, io saluto devotamente
3. Avendo salutato con devozione il proprio Guru, Gorakhnath descrive la suprema conoscenza, ricercata dagli yogi, che conduce al Bene supremo.
4. Per il bene degli Yogi, Goraksa espone la Centuria di versi la cui conoscenza è il percorso sicuro verso lo stato supremo.
5. Questa è la scala che porta alla liberazione, per cui la mente è distolta dalle gioie dei sensi e si rivolge allo spirito, e con cui si sfugge la morte.

 

SIṢYĀ DARSAN

OṂ. Dall'eterno, l'Om emerge. Dall'Om, lo spazio [ākāś] emerge. Dallo spazio, l'aria emerge. Dall'aria, il fuoco emerge. Dal fuoco, l'acqua emerge. Dall'acqua, la terra emerge. La forma della terra è la bellezza della Dea. La forma dell'acqua è l'aspetto di Brahma. La forma del fuoco è la maya di Vishnu. La forma dell'aria è il corpo di Dio. La forma dello spazio è l'ombra del Suono [Nad] La forma del Suono emerge dall'eterno.

ABHAI MĀĀTRĀ JOG

OM. Il lignaggio dei Perfetti, la via della saggezza, la vera terra, la postura naturale e il respiro, la medicina filosofale del respiro yogico, la grotta dell'autocontrollo, l'astinenza come perizoma, il decoro come cintura di castità, l'unità trascendente come scialle di meditazione, l'unione, l'Uddhiana Bandh, il vero mudra, la virtù come abito, il perdono come cappello, l'ardore come supporto, l'introspezione come sacca delle elemosine, la pazienza come bastone, la discriminazione come spada, la pratica ascetica come ruota, il chakra radice come ciotola per l'acqua, la mente come acqua, l'elisir come cibo, la compassione, la meditazione del segreto, il discernimento come libro, la lingua come alchimia...

 

Adesh Adesh

Quando due Yogi Nath si incontrano, usano la parla आदेश (Ādeśa)per rivolgersi l'un l'altro il saluto. Nel dizionario Sanscrito o Hindi troveremo che la parola ādeś si traduce come ordine, legge, comando o istruzione, ma i Nath associano a essa un significato molto più ampio.

La parola ādeśa è composta di due parti: आदः (ādaḥ), e ईश (īśa), dunque ādaḥ + īśa = Ādeśa. आदः (ādaḥ) significa ricevere o essere legati a, mentre ईश (īśa) significa signore, padrone, ed è anche uno dei nomi di Shiva; inoltre esprime anche eccellenza, abilità, potere. I Nath ritengono che fu Shiva stesso il fondatore del loro ordine, con il nome di आदिनाथ (Ādi Nātha), "Il Primo Nath", "Il Maestro Primordiale", che è unanimemente accettato dagli Yogi come Adi Guru (Primo Guru) e la Divinità sovrana del Nath Sampradaya. E' detto anche Yogeshvara (il Signore dello Yoga) l'ideale ascetico stesso, signore di austerità e penitenza, Signore degli spiriti e delle anime. Nel senso più ampio, Adi Nath si può tradurre come "il Signore Primordiale", nel suo ruolo di Signore di tutto il creato.

GORAKSHA VACANA SAMGRAHA.

Le istruzioni di Gorakhnath. 

1. Alcune persone desiderano la non dualità, altri desiderano la dualità. Ma non troveranno la Realtà, che è sempre e ovunque la stessa, diversa dalla dualità e dalla non dualità.
2. Se il Dio (Shiva) a cui tutto va è immutabile, pieno, indiviso, allora oh! La maya, la grande illusione, le false nozioni di dualità e non dualità.
3. Si dice che il supremo Brahman sia libero dall'esistenza e dalla non esistenza, libero da distruzione e generazione, al di là di ogni concezione.
4. Coloro che conoscono la Realtà lo conoscono come infinito spazio, vera conoscenza e beatitudine, ignoto al ragionamento e all'esempio, al di là della mente, dell'intelletto e delle altre funzioni.
5. Shakti è inerente a Shiva, Shiva è inerente a Shakti. Si deve riconoscere che non c'è differenza tra essi, come tra la Luna e la sua luce.
6. Quindi Shiva senza Shakti non potrebbe fare nulla. Ma dacché è unito al suo potere (shakti), è causa di tutte le forme sensibili.
7. Dotato di infinita Shakti, Shiva perpetua il manifestarsi di tutte le forme, eppure rimane uno solo, senza secondo, nella sua propria forma.

Adi Nath, Matsyendra Nath e Goraksh Nath. L'origine della tradizione Nath.

Da tempo l'India è riconosciuta come un importante centro della vita spirituale, che ha esercitato grande influenza sullo sviluppo di tutta la civiltà umana. La storia del paese è stata sempre segnata dalle storie di diversi grandi santi, Siddha e MahaYogi, che appaiono di volta in volta a guidare l'umanità verso ideali più alti, grazie all'esempio delle loro vite illustri.

Alcuni aspetti degli insegnamenti dei Nath

La posizione metafisica dei Nath non è monista né dualista. E' trascendente nel più vero senso della parola. Essi parlano dell'Assoluto (Nath), al di là delle opposizioni implicite nei concetti di Saguna e Nirguna, o di Sakara e Nirakara. Perciò, per essi il fine supremo della vita è realizzare se stessi come Nath e restare eternamente radicati al di là del mondo delle relazioni. La via per conquistare tale realizzazione è detta essere lo yoga, su cui investono molta energia. Sostengono che la Perfezione non si posa raggiungere con altri mezzi, se non con il sostegno della disciplina dello yoga.

I Siddha e la Via del Rasa

Un Siddha è qualcuno che si dice abbia raggiunto poteri sovrumani (Siddhi) o un Jivanmukthi, un liberato in vita. Il termine potrebbe anche essere tradotto come il raggiungimento della perfezione o dell'immortalità. Tale Siddha dotato di un corpo divino (divyadeha) è Shiva stesso (Maheshvara Siddha). È il perfetto, che ha superato le barriere del tempo, dello spazio e dei limiti umani. Un Siddha nella sua forma idealizzata è liberato da tutti i desideri (anyābhilāṣitā-śūnyam), colui che ha raggiunto un'identità impeccabile con la Realtà suprema.

Gorakh Bani

 

Il Gorakh Bani è un poema sapienziale di epoca medievale attribuito a Gorakhnath, composto di 275 strofe, più una serie di composizioni aggiuntive, dette Pada.
E’ un testo dei più misteriosi e affascinanti. E’ il Sabad, la parola spontanea dell’illuminato, lontana dai canoni scolastici vedantini e dello yoga, invece enigmatica e fitta di allegorie ermetiche e di riferimenti alla vita del monaco errante, dello Yogi, del Siddha, e alla sadhana esoterica. Perciò è un testo complesso, anti-intuitivo, ironico, poi beatifico e estatico, a tratti oscuro, comunque veloce, ritmato e vivace.
E’ un poema scritto con l’intento di sfidare l’intelligenza e le aspettative del lettore, e perciò per destrutturare il linguaggio e la mentalità razionale, e con esso il pensiero di chi legge. Il suo scopo è spingere a tuffarsi nell’orizzonte – o nel logos – del siddha, che è l’outsider e il mago, l’enigma in persona, al di là del duale e del non duale: lo Yogi Gorakh è “il fanciullo che parla dal più alto dei cieli”.
Si tratta di un orizzonte di meditazione che è molto radicale rispetto a quelli in voga ai nostri giorni. Il testo offre molti punti letteralmente di appoggio, su cui sviluppare quel percorso di meditazione, come inteso originariamente, su cui lo yogi deve lavorare in autonomia. Si spalanca l’orizzonte della meditazione, in cui approfondire le singole stazioni.

A differenza del sapere religioso, ben noto e reiterato dalla tradizione tra i confini del "villaggio", il sapere che Gorakh incarna non può essere indicato tra le definizioni che sono postulate dai dotti, dalle usanze e dai sacerdoti. Egli è un sapere incarnato e vivente, sempre nuovo, imperituro e rinnovato dall’esperienza che nel tempo è maturata nella coscienza degli yogi che hanno intrapreso lo stesso cammino, che si illuminerà con l’immagine già misteriosamente addotta da Eraclito. “Un fanciullo che parla dall’alto dei cieli”.

La Parola (Sabad) che andiamo a esporre è esoterica, codice e chiave di accesso a un regno e un pensiero differenti. Nessuno può dire di possederla, poiché la sua espressione è il suo stesso occultamento e la sola chiave d’accesso è il risveglio che riesce a suscitare. Il Sabad deve procurare il risveglio della stessa condizione nell’interlocutore, risvegliare il Sabad. Non è un sistema normativo che si possa imporre, non è un’ideologia a cui si possa aderire, non è un argomento che si possa padroneggiare, non è una tesi che si possa confutare o un sistema da applicare alla lettera. Sabad è la libertà della Parola ispirata, dell’esperienza diretta, del cuore di chi parla, il riverbero del suono primordiale incausato. Sabad è il seme stesso che si getta nel terreno del cuore, dove Gorakh "ara il campo". Chi nasce da quel seme è "uno di noi".

 

Testo e commento del Gorakh Bani sono pubblicati su Satsang.it

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