Giorno 5: Capitolo VIII (Rakta biija samhaara)

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Testi del Vedanta, dello Yoga e della tradizione Hindu.

Dal 2001 Visionaire.org è scritto, illustrato, pubblicato da Beatrice Polidori (Udai Nath)

CAPITOLO 8 L'uccisione di Raktabīja

8.1 Il saggio disse:
8.2 Dopo che Chaṇḍa era stato ucciso, Muṇḍa ammazzato e i vasti eserciti erano stati annientati, il signore degli asura
8.3 bruciava dalla rabbia. Perduta la ragione, Śumbha ordinò a tutti gli eserciti di demoni di schierarsi:
8.4 “Ordino che i clan Daitya con tutte le loro truppe avanzino, gli ottantasei Udāyudha e le ottantaquattro famiglie Kambu, insieme alle loro truppe.
8.5 Che le cinquanta famiglie di Koṭivīrya e i cento clan Dhaumra partano al mio comando.
8.6 Quindi, ordino poi ancora che i Kālaka, i Daurhṛda, i Maurya ed i Kālakeya si presentino in fretta, armati per la battaglia."
8.7 Dopo aver emesso i suoi ordini, Śumbha, il dispotico signore degli asura, avanzò, accompagnato da molte migliaia di potenti truppe.
8.8 Vedendo l'approssimarsi dello spaventoso esercito, Caṇḍikā riempì lo spazio tra cielo e terra facendo scoccare la corda del suo arco.
8.9 A quel punto il suo leone emise un ruggito possente, o re, ed Ambika intensificò il rumore con la sua campana.
8.10 Kālī sovrastò il frastuono della corda dell'arco, del leone e della campana, riempiendo ogni direzione con gli ululati terrificanti della sua bocca spalancata.
8.11 Ascoltando quel tumulto, gli eserciti di demoni infuriati si avvicinarono alla Devī, al suo leone e a Kālī da tutte e quattro le direzioni.
8.12 O re, proprio in quel momento, per assicurare il bene degli dèi supremi e per annientare i loro avversari, incredibilmente coraggiosi e potenti
8.13 Tutte le śakti, il potere incarnato degli dèi, scaturirono dai corpi di Brahmā, Śiva, Skanda, Viṣṇu e Indra, rispecchiando la forma di ciascuno. Si avvicinarono a Caṇḍikā.
8.14 Qualunque fosse la forma del dio, quali fossero i suoi ornamenti e la sua cavalcatura, in quella forma la sua śakti uscì per combattere gli asura.
8.15 Su un carro celeste trainato da cigni, la śakti di Brahmā uscì con mala e vaso d'acqua in mano. Si chiamava Brahmāṇī.
8.16 Maheśvarī giunse cavalcando un toro, reggendo il più scintillante tridente, con grandi serpenti come bracciali e ornata con la falce di luna.
8.17 Da Ambikā, avendo ella l’aspetto del dio della guerra e cavalcando un bel pavone, emerse Kaumārī con la lancia in mano per combattere contro i daitya.
8.18 Allo stesso modo la śakti Vaiṣṇavī, montando su Garuda, avanzò con conchiglia, disco, mazza, arco e spada.
8.19 La śakti di Hari, generò la forma del cinghiale sacro e giunse nell’aspetto di Vārāhī.
8.20 Nārasirhmī, a immagine dell'incarnazione di Viṣṇu quale uomo-leone, avanzava sparpagliando le costellazioni con lo scuotimento della sua criniera.
8.21 Con mille occhi come Indra, e sorreggendo allo stesso modo il fulmine con la mano, Aindrī arrivò cavalcando il signore degli elefanti.
8.22 Quindi Śiva, circondato da quelle śakti degli dèi, disse a Caṇḍikā: "Lascia che gli asura siano uccisi velocemente per la mia soddisfazione".
8.23 Allora dal corpo della Devī emerse la terrificante śakti di Caṇḍikā, selvaggia nella sua furia e ululante come un centinaio di sciacalli.
8.24 E lei, l’indomita, disse a Śiva dai neri capelli intrecciati: "Vai, mio signore, come mio messaggero per Śumbha e Niśumbha.
8.25 Di ai due arroganti dānava, Śumbha e Niśumbha, e agli altri dānava riuniti per la battaglia:
8.26 “Indra deve riprendere i tre mondi, gli dèi devono nuovamente godere delle oblazioni sacrificali, e se voi volete vivere dovete ritornare nel mondo inferiore.
8.27 Ma se a causa della presunzione del tuo potere sei desideroso di combattere, allora vieni e lascia che i miei sciacalli siano saziati dalla tua carne!"
8.28 Dacché Devī si era rivolta a Śiva stesso come suo messaggero, è conosciuta in questo mondo come Śivadūtīī.
8.29 Udendo Śiva riportare le parole della Devī, i potenti asura furono indignati e si mossero per affrontare Kātyāyanī.
8.30 Allo scoppio della battaglia, gli avversari degli dèi, arroganti e carichi di rabbia, fecero piovere fiumi di frecce, lance e arpioni sulla Devī.
8.31 E lei, con le grandi frecce lanciate dal suo risonante arco, spezzava come se fosse un gioco tutte le loro frecce, lance, asce e i loro arpioni.
8.32 Kālī si spostava lungo il fronte della battaglia, facendo a brandelli i suoi nemici con la lancia e battendoli con il suo bastone sormontato dal teschio.
8,33 E Brahmāṇī, ovunque andasse, lasciava i suoi nemici fiaccati dall'acqua santa spruzzata dal suo kamandalu.
8.34 Maheśvarī uccise i daitya con il suo tridente; così come Vaiṣṇavī con il suo disco, Kaumārī con la sua lancia e l'irata
8.35 Aindrī con il suo fulmine. Daitya e dānava, furono fatti a pezzi a centinaia, rovesciando torrenti di sangue sulla terra.
8.36 Caddero, spezzati dai colpi del muso di Vārāhī, trafitti nel petto dalle sue zanne e smembrati dal suo disco.
8.37 Nārasiṁhī, facendo a pezzi altri potenti asura con i suoi artigli e divorandoli, vagò per il campo di battaglia, riempiendo il cielo dei suoi ruggiti.
8.38 Storditi dalle risate violente di Śivadūtī, gli asura caddero a terra e lei li divorò.
8.39 Quando le truppe nemiche videro il gruppo infuriato delle Madri schiacciare i potenti asura in diversi modi, fuggirono.
8.40 Vedendo fuggire i rimanenti daitya così martoriati dal gruppo delle Madri, il potente asura Raktabīja uscì sdegnato per combattere.
8.41 Ogni volta che una goccia di sangue fuoriuscita dal suo corpo cadeva a terra, un asura grande e potente come lui ne emergevaa.
8.42 Con la mazza in mano, il potente asura combatté contro la śakti di Indra. Quindi Aindrī colpì Raktabīja con il suo fulmine.
8.43 Il sangue scorreva come un torrente dall’asura colpito, e da quel sangue sorgevano guerrieri di identica forma e potenza.
8.44 Quante gocce di sangue cadevano dal suo corpo, tanti esseri sorgevano, di uguale valore, forza e coraggio,
8.45 e coloro che nascevano dal suo sangue combattevano contro le Madri sempre più ferocemente, con le più formidabili armi.
8.46 Quando il fulmine della Devī colpì la testa di Raktabīja, il sangue uscì di nuovo e da esso nacquero migliaia di asura.
8.47 Vaiṣṇavī attaccò il signore degli asura con il suo disco e Aindri lo colpì con la sua mazza.
8.48 Il sangue scorreva dalle ferite provocate dal disco di Vaiṣṇavī, e da esso nascevano migliaia di asura di uguale forma che riempirono il mondo.
8.49 Kaumārī con la su lancia, Vārāhī con la spada e Māheśvarī con il tridente colpirono il potente asura Raktabīja,
8.50 e lui, il potente daitya pieno di rabbia, colpì tutte le Madri una ad una con la sua mazza.
8.51 Dal sangue che scorreva dalle ferite di lance arpioni e le altre armi, immancabilmente gli asura emergevano a centinaia,
8.52 e i demoni nati dal sangue di questo demone invasero tutto il mondo. Il terrore assoluto s’impadronì degli dèi.
8.53 Caṇḍikā scoppiò a ridere per la loro disperazione e disse a Kālī: "O Cāmuṇḍā, spalanca la bocca
8.54 e bevi rapidamente le gocce di sangue che schizzano dai colpi delle mie armi e i potenti asura nati da esse.
8.55 Spostati sul campo di battaglia e divora i grandi demoni sorti da Raktabīja. Quindi questo daitya, quando sarà prosciugato di sangue, andrà verso la sua fine.
8.56 Man mano che mangerai quei feroci asura, altri non ne sorgeranno. "Avendo parlato così, la Devī attaccò Raktabīja con la lancia,
8.57 mentre Kālī ne prosciugava rapidamente il sangue. Raktabīja si rivolse contro Caṇḍikā con la mazza,
8,58 ma i suoi colpi non le causarono il minimo dolore. Dal suo corpo ferito invece il sangue scorreva copiosamente
8.59 in ogni direzione e Cāmuṇḍā lo inghiottiva. E con la bocca divorava anche quei potenti asura che erano nati dal sangue versato,
8.60 anche mentre beveva il sangue di Raktabīja.
8.61 La Devī assalì Raktabīja con lancia, fulmine, frecce, spade ed arpioni mentre Cāmuṇḍā beveva il suo sangue.
8.62 O re, colpito da quella schiera di armi e prosciugato di sangue, il grande asura Raktabīja cadde a terra.
8.63 Gli dèi raggiunsero una gioia incommensurabile, o re, e le Madri che erano emerse da loro ballarono, inebriate dal sangue.


Commento

Mentre gli asura si accalcano a circondarla, la Devī moltiplica le sue forze. Lei invoca a sé la sette śakti o energie individuali dai corpi degli dei maschili (8.13). Ogni śakti, personificata come controparte femminile del dio, mostra i segni specifici della divinità corrispondente: la forma, gli ornamenti, le armi e i veicoli.
Da Brahmā emerge Brahmāṇī, che cavalca su un carro trainato dal cigno e personifica il potere sattvico, purificante. Nella tradizione il cigno (hamsa) possiede la capacità di separare il latte dall'acqua, metaforicamente per distinguere ciò che è vero e durevole da ciò che è impermanente e fugace.
La parola ripetuta haṁsa, haṁsa, haṁsa ... è percepita come il mantra che significa "io sono", che è il suono del respiro di tutte le creature. Il rosario di preghiera di Brahmāṇī simboleggia il japa (ripetizione del mantra) e quindi la disciplina che dispone alla contemplazione del Divino. Il suono del respiro “hamsa” è detto ajapa mantra, il mantra che viene ripetuto senza l'ausilio del japa, e che sostiene spontaneamente le creature. Il lavoro su di esso, invertendo e lavorando consapevolmente suo suo circolo, è la via più radicale, nel senso della radice, dello yoga. Il vaso con l'acqua lustrale, che simboleggia ricchezza, fertilità e immortalità, è l'acqua della parola sacra, su cui si rispecchia la luce divina e che purifica la mente con l'ascolto della verità.

Māheśvarī è il derivato femminile di Maheśvara ("Grande Dio"), un epiteto di Śiva e signore degli yogi. Appare cavalcando il toro Nandi, un simbolo del dharma, che sta sulle quattro gambe della verità, della purezza, della compassione e della generosità. Māheśvarī è adornata dei simboli tradizionali di Śiva: il tridente (che significa creazione, conservazione e dissoluzione), i serpenti (che simboleggia l'immortalità, la fertilità, la rigenerazione ), e la luna crescente (che simboleggia il tempo, misurato dalla luna crescente e calante) Kaumārī è la śakti del figlio di Śiva Kumāra (Skanda), di cui la Dea ha preso le sembianze sul campo di battaglia, il dio della guerra rappresentato come un bellissimo giovane.
Viṣṇu contribuisce con tre śakti al gruppo di sette. Per prima viene Vaiṣṇavī, sua śakti suprema, che emerge montato sul favoloso uccello Garuda e coi la conchiglia, il disco, mazza, arco e spada. Vārāhī è la śakti della terza incarnazione in cinghiale di Viṣṇu. La feroce Nārasiṁhī, metà donna e metà leonessa, simboleggia il risveglio della coscienza umana all'interno del corpo fisico animale, le cui energie, rappresentate dallo scuotimento della criniera, riescono a spostare le costellazioni celesti.
Aindrī, come l'onniveggente Indra, ha mille occhi, brandisce il fulmine (vajra) che rappresenta forza e cavalca l'elefante Airāvata, l'imponente cavalcatura del capo degli dei vedici.
Nel Ṛgveda e per tutto il periodo epico, la consorte di Indra è ben nota come Indrāṇī. Il nome Aindrī, trovata per la prima volta nel Devīmāhātmya, riconfigura la sua identità come indipendente dal suo precedente ruolo di sposa divina.
Proprio come la radiosità (tejas) degli dei maschili da cui si è formata la Devī (2.9-19) per rappresentava i poteri individuali ma il potere della Dea che era inerente ad essi, anche qui, si dovrebbe considerare le śakti non come i poteri propri degli dei, ma come diverse manifestazioni dell'unica Śakti.
Lei stessa chiarisce questo punto in seguito, quando identifica le śakti come proiezioni della propria energia. Quando infine si ritirano, non torneranno agli dei da cui sono emerse, ma direttamente in lei (10,5–8).
La visione Śākta della Devī come superiore e indipendente dagli dei maschi diventa abbondantemente chiara quando Śiva, che finora sembra aver avuto il ruolo di spettatore, si ritrova circondato dai sette śakti e fa un'osservazione inattesa: "Lascia che gli asura siano rapidamente uccisi per la mia soddisfazione." Questo non è solo sconcertante, ma presuntuoso. Almeno la Devī la vede così, perché immediatamente dal suo corpo esce la sua śakti, più terrificante di tutte le altre. Qui chiamata Aparājitā ("l'invincibile"), questa śakti ordina a Śiva stesso di consegnare un ultimatum a Śumbha e Niśumbha. Di conseguenza, questa śakti immensamente potente è anche chiamata Śivadūtī ("il cui messaggero è Śiva ", 8,28). Il concetto di questo nome, e dell'evento che lo ha innescato, è che nessun dio, per quanto potente, è superiore al potere (śakti) della Divina Madre.
Inevitabilmente scoppia un'altra battaglia dopo che gli asura assalgono la Devī, qui chiamata Kātyāyanī. Successivamente descritta con un viso gentile e adornato con tre occhi (11.25), Kātyāyanī era probabilmente la dea della famiglia dei saggi Āryan nota come Kātya. Il nome rivela le sue origini vediche, sebbene i suoi tre occhi suggeriscano una successiva influenza Śaiva. Fonti precedenti al Devīmāhātmya, in particolare il Durgāstotra e l'inno di Aniruddha dall'Harivamśa, la identificano con Durgā. Il Vāmanapurāṇa descrive il suo splendore incomparabile come rifulgere in tutto il mondo. Senza dubbio, il nome Kātyāyanī è equivalente ai nomi Durgā, Caṇḍikā e Ambikā a significare la forma suprema della Devī.

Il verso 8.39 si riferisce alle sette śakti collettivamente come mātrgaṇa ("gruppo di madri"). Conosciute anche come Saptamātṛkās ("Sette madri"), o semplicemente come le Madri, queste feroci dee lottano per la conservazione del mondo. Sebbene siano estremamente antiche piuttosto diverse nel carattere, l'allegoria del Devīmāhātmya le presenta come principi individualizzati e interiorizzati della lotta del sādhaka per l'illuminazione spirituale.

Infatti, nel confronto con il demone Raktabīja, ci troviamo due moltitudini, due soggetti plurali, che si fronteggiano, a rappresentare come la pluralità possa rappresentare la massima moltiplicazione e distruzione (Raktabīja) o la specificità dell'individuazione secondo necessità e coerenza.
Raktabīja, il cui nome significa sangue e seme, o colui il cui sangue è seme, ha infatti il potere di moltiplicarsi in ogni goccia del proprio sangue versato, potere che lo rende tanto più numeroso e pericoloso, quanto più viene colpito. Questa immagine è potente e può avere molte interpretazioni esoteriche. Qui basti a comprendere come la dissipazione nel conflitto e nella frizione produce quel moltiplicarsi infinito delle forze ostili e la loro invincibilità. Mentre il numero razionale e specializzato delle Madri è fenomeno dell'individuazione e della funzione, dove ciascun aspetto ha un ruolo e una personalità specifici e distinti, pur essendo in sostanza unitarie. Dunque il molteplice si rispecchia in due modelli opposti, la riproduzione di cloni-copia e l'individuazione intenzionale e formalmente distinta, a mostrare la differenza.

Infine, la dispersione-moltiplicazione di sangue e seme rappresentata da Raktabīja è comunque destinata a essere riassorbita nella bocca sacrificale di Chamunda, dove ogni numero, per quanto smisurato, è destinato ad avere termine. Chamunda, dunque, si mostra come la potenza in grado di annichilire questa moltiplicazione potenzialmente infinita dell'ostilità e della dispersione, portando la battaglia spirituale alla vittoria.

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