Soundarya Lahari

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Testi del Vedanta, dello Yoga e della tradizione Hindu.

Dal 2001 Visionaire.org è scritto, illustrato, pubblicato da Beatrice Polidori (Udai Nath)

Lalitha Tripura Soundari
(Amba Mata - Lalitha Tripura Soundari)

 

 di Sri Chandrasekharendra Saraswati Swamigal

Incarnazione del grande Sri Dakshinamurti, Sri Adi Shankaracharya fu il commentatore dei testi fondamentali del Vedanta e anche il fondatore dei generi devozionali rivolti alle sei concezioni del Paramatman Supremo. Anche se i filosofi puri possono trovare contraddittoria questa coesistenza di  filosofia e fede in una forma personalistica di culto, espresse dallo pensatore, la tradizione spirituale indiana non trova alcuna contraddizione in tale combinazione. L'Acharya non è un virtuoso della logica speculativa, come molti filosofi occidentali.
Egli dimostrò chiaramente che Principio e Personalità devono andare di pari passo perché la vita spirituale dell'uomo sia segnata da una progressiva realizzazione, così come il concetto filosofico di Atman–Parabrahman, cuore della dottrina del Vedanta, si possa rivestire di una concezione personale della divinità, per possedere un significato attingibile dall'uomo comune. È solo alla luce di questa peculiarità della tradizione spirituale indiana che possiamo capire come il filosofo del Vedanta per eccellenza, lo Sri Adi Acharya, sia stato anche il compositore di grandi inni dedicati alle concezioni teistiche principali, delle divinità come Vishnu, Shiva, Shakti e Ganesha. Il Saundaryalahari è l'inno più importante dedicato alla Parashakti e costituisce il testo fondamentale del culto Dakshinachara Shàkta, devoto all'adorazione del  Parabrahman come Madre dell'Universo.
La tradizione dice che Srimadacharya (Sri Adi Shankara) abbia riportato i primi 41 versetti dal monte Kailasa. Nel corso dei suoi pellegrinaggi, si era recato al Kailasa e aveva goduto del Darshan (incontro, visione diretta) di Sridevi e Sri Parameshwara. Fu allora che (Shiva) Parameshwara gli diede cinque Lingam Sphatika (Lingam di cristallo) e  Sridevi e gli fece dono di un fascicolo di fogli di palma. Sui fogli di palma era manoscritto un inno di 100 strofe alla Parashakti Suprema. I cinque Lingam, ognuno di essi, rappresentano la forma di Ishwara. Questi sono i cinque Lingam che Srimadacharya installò successivamente a Sringeri (Bhogalinga), Kanchi (Yogalinga), Kedara (Muktilinga), in Nepal (Varalinga) e Chidambaram (Mokshalinga). Proprio come il Lingam è la forma di Ishwara, le strofe manoscritte sui fogli di palma lo sono di Amba, nella peculiarità del mantra SriVidya, e della SriVidya Upasana si occupano principalmente le cento strofe dell'inno. Colui che ha dato, colui che ha ricevuto, l'oggetto che è stato dato (Brahmavidya come Saundaryalahari), erano infine la stessa cosa. Ecco l'esempio perfetto di Advaita.
Nandikeshwara lo fermò mentre si accingeva a trasportare i cento Shloka ricevuti in dono e i cinque Lingam. Nel confronto che ne seguì, Srimadacharya riuscì a riprendere con sé i primi 41 Shloka, a cui poi aggiunse i 59 perduti nella lotta, riscrivendoli di suo pugno. I primi 41 Shloka contengono i principi del Mantra Shastra, del Kundalini Yoga e del culto esoterico di Sri Mahatripurasundari, o SriVidya.
Le prime 41 strofe, note come 'Anandalahari' o  'Onda di Beatitudine' costituiscono il  Mantra Shastra. Solo pochi possono capire e seguire nella pratica questa dottrina, le cui norme sono molto severe e pochi sono vocati per la loro osservanza. Ciascuna delle cento strofe del  Saundaryalahari può essere recitata come un mantra e ognuna produrrà il suo frutto indipendente. Così come tutto ciò che Mida toccava diventava d'oro, tutte le parole pronunciate da Srimadacharya sono mantra.
Il poema composto da un grande saggio come Srimadacharya in uno stato di estasi, nella piena percezione del Divino e in oblio di sé, è concezione divina. L'Acharya dice nel versetto centesimo: "Madre, questo inno a Te dedicato è scritto con parole tue". Questo inno, oltre ad essere il prodotto della grazia divina, è in grado di conferire grazia su di noi.  Il mondo ha avuto la rara fortuna di godere del Darshan di Srimadacharya solo per un periodo di 32 anni. Nella sua immensa compassione, volle che anche dopo la fine della sua incarnazione la gente potesse ricevere il beneficio dei suoi insegnamenti. Questo è il motivo per cui ha riunito tutta la sua grazia, riassunta e compressa, per così dire, in  poesie, inni e canti che continuano a concedere la sua benedizione, generazione dopo generazione. Attraverso il Saundaryalahari, riceviamo l'ondata di grazia di Srimadacharya. Per coloro che leggono il Saundaryalahari, un numero di significati nascosti o intuitivi si riveleranno in base alla sensibilità, alla maturità, e alle conoscenze e alle esperienze del lettore.
Il termine 'Saundaryalahari'  si incontra nella terza strofa che descrive la  forma  di Amba e la sua bellezza, nell'interezza della Sua figura. A  una delle sue composizioni da un centinaio di versi, l'Acharya diede il titolo 'Shivanandalahari', che significa "L'onda di gioia di Shiva".  Il nome 'Shiva' viene esplicitamente menzionato. Ma in questa centuria, nessun nome è stato utilizzato per indicare Amba. Il titolo è semplicemente 'Saundaryalahari', cioè “L'onda di bellezza”, non è 'Amba Saundaryalahari' o 'Devi Saundaryalahari'.  Di fatto, Saundarya, bellezza, significa Amba. Quando parliamo della bellezza di altri dei e dee dobbiamo menzionare specificamente i loro nomi. Ma la fonte della loro bellezza è Amba, la sostanza con cui la loro bellezza è fatta è Amba - Amba è la radice di ogni bellezza. Ciò che rende le cose  belle, in ciò che percepiamo bello, l'inizio e la fine di tutto ciò che è bello è la bellezza di Amba. La bellezza di Amba è la misura del bello. Così, parlando della bellezza di Amba, non è  necessario utilizzare specificamente la parola 'Amba' prima 'bellezza'.
Dieci nomi di Sridevi sono citati come le grazie della Devi - Dasha Maha Vidhya. Negli Shastra relativi, Sri Mahatripurasundari è detta "Sundari Vidya". Tra tutte le forme di Amba, lei è la più dolce, la più bella, perciò ha nome 'Sundari'.
"Ho avuto la visione di tante divinità. Ma non ho visto da nessuna parte una bellezza come quella di Sri Mahatripurasundari ", queste parole pronunciate da Sri Ramakrishna Paramahamsa si trovano in una sua biografia.
Non solo nel titolo dell'inno il nome Mahatripurasundari non figura, ma in tutto il testo non è mai indicato. Non in una sola strofa delle 100 troviamo 'Mahatripurasundari',  nemmeno una volta. Nessuno dei nomi che denotano SriVidya è menzionato. Troviamo però alcuni degli attributi di Amba. Tra questi, i più frequenti sono Girisutaa e Himigirisutaa (Figlia della Montagna, Figlia dell'Himalaya). Nomi come Shivaa, Bhavani, Uma, Parvati, Chandi si trovano uno o due volte. Ci imbattiamo in nomi  come Janani, Mahatripurasundari, Amba e Devi, i cui nomi possono essere utilizzati per indicare qualsiasi divinità femminile e non sono denominazioni precise, a indicare la Parashakti inseparabilmente unita al Parameshwara.

Il primo dei cento versi si apre con le parole: "ShivaH shaktyA yukto". Qui troviamo un nome estremamente significativo di Amba: Shakti. Amba è l'energia o il potere del Parabrahman.
Ma cosa o chi è Amba? E' il 'Cit' o coscienza dello Sri Parameshwara, che è 'Sat'. Così, la verità del Vedanta si ribadisce qui come esperienza di beatitudine derivata da Jnana o conoscenza. I molti tipi di ananda che sperimentiamo sono il riflesso di questa 'Chit'. Il punto finale dell'esperienza è la beatitudine non-duale dell'essere riuniti in Cit, forma stessa dell'Jnana. Amba è fondamento e personificazione dell'Jnana. Nel Sahasranama si dice che la beatitudine propria di Brahma, Vishnu e degli altri dei è solo una goccia della beatitudine di Amba. Ecco perché la prima parte di questo inno si chiama semplicemente 'Anandalahari', senza il nome di Amba.

Nel ritrarre poeticamente la forma fisica, vi è un ordine di procedere per le divinità maschili e un altro per le  divinità femminili. Le prime devono essere rappresentate dai piedi alla testa. Questo modello è conosciuto con vari nomi: Paadaadi Keshaantam, Aapaadamastakam, Nakha-Shikha paryantam ecc, il senso inverso si osserva per le divinità femminili: dalle trecce dei capelli, il poeta continua raffigurando la fronte, gli occhi e così via fino ai piedi . Questo è Keshaadi Paadaantam. Questo ordine è adottato nella prima parte dello Sri Lalita Sahasranama e nel Saundaryalahari. Le qualità o gli attributi di Amba non sono differenti dalla sua forma. Questo inno non è qualcosa di separato da lei. Proprio come le sue qualità infinite e benefiche hanno assunto una forma plastica, attraverso le parti del suo corpo, la descrizione Keshaadi Paada del suo corpo ne costituisce la forma verbale.

Alla conclusione di una composizione devozionale, si è soliti parlare dei frutti specifici o delle ricompense guadagnate dai devoti che ne leggeranno i versi. Si chiama 'Phala Shruti'. Nella strofa conclusiva del Saundaryalahari, Srimadacharya dice in tutta umiltà che è stata un'imprudenza da parte sua comporre l'inno di Amba con le poche parole tratte dal suo lessico umano. Inoltre, l'Acharya, invece di citare i benefici che si possono ottenere con la lettura di questo inno, parla solo dei frutti prodotti dall'adorare Amba. Perché fa questa scelta? Due motivi possono essere plausibili. Dato che  l'Acharya non possiede alcun residuo di ego, egli è contrario ad affermare che l'inno composto da lui abbia il potere di portare frutti. Il secondo motivo è che lo stesso inno è la forma di Amba, la sua personificazione verbale. Quindi, leggere o recitare l'inno è adorare Lei. Se il poema di esaltazione di Amba è di per sé la sua incarnazione, i frutti prodotti dalla sua lettura devono essere gli stessi di quelli prodotti dall'adorazione. Qualcuno in questo mondo potrebbe davvero descrivere minuziosamente i frutti ottenuti dall'adorare Amba?

Sri Yantra
(Sri Yantra)


“Il Signore Shiva poté creare questo mondo grazie alla Shakti,
senza di Essa nulla potrebbe muoversi,
e come potrebbe dunque colui che non ha meriti  
cantare le tue lodi e ricevere la grazia della devozione
oh mia Dea, venerata nella triplice forma.”

Srimadacharya Bhagavatpada inizia l'Anandalahari con l'espressione massima di buon auspicio e profondo significato: "Shiva", offrendo con essa un'invocazione benedicente all'Essere Supremo. In linea con il canone sacro condiviso dai grandi autori  della letteratura tradizionale dei Darshana, per cui si premette il contenuto di tutta l'opera al suo inizio, si può dire che la prima strofa di questo inno superbo contenga la quintessenza della SriVidya. Il riferimento a Shiva in questo Shloka è quale  Parabrahman, il trascendentale, che tutto pervade, il supremo Parabrahman Niskala, o aspetto statico, descritto nella Mandukya Sruti: "Non è la coscienza del mondo interno soggettivo, non la coscienza del mondo esterno, né la coscienza di entrambi, né la coscienza generica, né la coscienza semplice, né la consapevolezza.  Esso è invisibile a qualsiasi organo di senso, non è legato a nulla, inattingibile dalla mente, non è inferibile, è impensabile, indescrivibile, essenzialmente puro e semplice Sé, negazione di ogni fenomeno, la chiara e piena beatitudine non-duale". [V111]

Shakti è l'energia primordiale latente,  indifferenziata e auto-cosciente, che tutto pervade, che si manifesta per creare l'universo dopo il diluvio o la grande dissoluzione (Mahapralaya). Questa Shakti non è diversa dalla coscienza (Cit), il loro rapporto è di inseparabile unità (Avinabhava Sambandha) come tra il fuoco e il calore, un soggetto e le sue caratteristiche, la parola e significato ecc. In altre parole, uno non esiste senza l'altra.
"Non esiste alcun cosmo, il mondo fenomenico o empirico è effetto di Maya. Si deve perciò diventare la Verità che è Shivam, il supremo Brahman quiescente e senza attributi ". Tale è la dottrina che Srimadacharya ha stabilito e insegnato attraverso i suoi commentari e le opere dottrinarie. Ma in questo inno prevale il piacere del fatto che Shakti energizzi Shiva, facendo sì che i fenomeni del mondo si svolgano. Entrambi i postulati sono veri, sebbene la logica neghi che entrambi possano essere veri. Tuttavia, gli attributi della Verità non sono sempre logicamente determinati.

Srimadacharya divide gli uomini in due categorie: quelli in grado di prendere la via del Jnana e quelli adatti alla Bhakti. Il primo gruppo deve ricevere l'istruzione appropriata, e a questi sono destinate le opere Advaita. Per gli altri compose inni come il Saundaryalahari, per aiutarli a completare il   loro progresso spirituale. Esortava dunque quelli già avanzati a una fase matura, tesi alla realizzazione dell'Entità che è la radice di tutto, a rifiutare l'universo diviso e multiforme. Li esortava inoltre a respingere i sensi corporei e la mente, che sperimentano il dolore e la felicità,  e insegnava  come ritornare all'Origine di tutto. Questo è il sentiero della saggezza. Ci sono alcuni che non possono staccarsi immediatamente dalle faccende  mondane e non sono abbastanza maturi per raggiungere lo stato dell'Jnana.  Srimadacharya mostrava loro la via della devozione, invitandoli alla maturazione spirituale. Se non possono subito rinunciare al mondo e al coinvolgimento nell'attività dei sensi e della mente, non dovrebbero per questo dimenticare l'Origine, la Realtà, poiché è inutile mentire e rimanere intrappolati nei piaceri sensuali, nel dolore e nella paura. Mostra loro che tutte le cose del mondo, i fenomeni mondani, sono governati da quell'origine serena, che si manifesta in Ishwara congiunto con Shakti. Insegna inoltre loro a visualizzare i fenomeni come gioco di Ishwara e a educare la mente, i sensi, ecc a meditare su di Lui e, in adorazione di Lui, ad ascoltare i racconti delle sue gesta e il canto della sua gloria. Se, in questo modo, il Brahman attivo - Ishwara, è colto attraverso il mondo dei sensi, si può maturare fino a giungere alla grazia del Signore, e abbandonare infine gli oggetti del mondo fenomenico, per elevarsi al Brahman immobile originario.

 

Da: "Sri Sankara Bhagavatpadacarya's Saundaryalahari" Pujyasri Candrasekharendra Sarasvati Svami - Ed. Bharatiya Vidya Bhavan, 2001

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