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Testi del Vedanta, dello Yoga e della tradizione Hindu.

Dal 2001 Visionaire.org è scritto, illustrato, pubblicato da Beatrice Polidori (Udai Nath)

Testi del Vedanta

Bhagavad Gita

Il Signore creò  il mondo, e volle proteggere la sua esistenza. In primo luogo fece i progenitori, guida delle genti (prajaa - Pati), a partire da Marichi, e  impartì loro la legge  (Dharma), caratterizzata dai precetti operativi  (pravRitti) descritti nei Veda. Poi creò Sanaka, Sanandana e altri, e impartì loro la legge della rinuncia all'azione (NIVRitti), dalla conoscenza e dal  distacco. Duplice è la Legge descritta nei Veda - una di azione e l'altra di rinuncia all'azione – con cui è retto il mondo. Questa duplice legge deve essere osservata da parte dei membri di tutte le classi, a cominciare dai Brahmana, per tutta la durata delle stagioni della vita, in quanto porta direttamente a ottenere la prosperità e la liberazione, il Sommo Bene.

Nel corso del tempo, a causa dell'egoismo di coloro che dovevano difendere legge, e la conseguente diminuzione della conoscenza discriminativa, l'ingiustizia divenne più potente e prevalse sulla legge. Volendo mantenere la stabilità del mondo, il Creatore primordiale, che tutto pervade, il Signore (Vishnu), chiamato Narayana, si incarnò e nacque da Devaki e da Vasudeva, come Krishna, al fine di ristabilire la legge divina dei Veda.  Solo se la Legge vedica è preservata, il suo spirito proteggerà la vita delle diverse classi di persone.

Ashtavakra Samhita

Tu non appartieni ai bramini, ai guerrieri né ad altra casta, tu non sei in alcuno stadio di vita, non sei nulla di ciò che i tuoi occhi possono vedere. Sei privo di attaccamento e di forma, il testimone di tutto - [dunque] sii beato, ora. Giusto e ingiusto, piacere e dolore appartengono soltanto alla mente e non ti riguardano. Tu non sei l'agente o il fruitore delle conseguenze [dell'agire]; tu sei sempre libero.

Tu sei l'unico testimone di tutto, completamente libero. La causa della sofferenza è nel ritenere il testimone qualcosa di diverso da questo. Finché sei stato ingannato dal nero serpente dell'opinione di te stesso, hai creduto stoltamente: "io sono colui che agisce"; ora dissetati col nettare dell'evidenza: "io non sono colui che agisce" e da subito sii felice. Brucia la foresta dell'illusione con il fuoco della conoscenza.

Mandukya Karika di Gaudapada

Mi inchino al Brahman che pervade l'universo con l'effusione della conoscenza, che pervade ciò che è mobile e ciò che è immobile, Colui che osserva tutto quello che può essere conosciuto nel mondo grossolano [durante lo stato di veglia], Quello per cui si sperimenta tutto ciò che nasce dal desiderio ed è illuminato dall'intelletto [durante lo stato di sogno], e che riposa nella Sua beatitudine e fa che tutti noi vediamo attraverso la Sua Maya, quello che, nei termini di Maya, è il Quarto [Turiya] e il supremo, immortale e non nato.

Turiya, il Sé dell'universo - che osserva i frutti della virtù e del vizio nel mondo grossolano, che conosce gli oggetti sottili creati dalla Sua intelligenza e illuminati dalla Sua luce e che riassorbe tutto questo gradualmente in Sé, e che abbandonata ogni differenziazione diviene privo di attributi – che possa Egli accordarci la Sua protezione.

श्रुति Śrūti

Ishavasya Upanishad

Il volto della Verità è nascosto da una maschera d’oro; rimuovilo, oh Conoscitore, perché trionfi la verità, perché sia veduto. O Conoscitore, o Veggente, o Ordinatore, Sole Illuminante, o Padre delle creature, apri i tuoi raggi divini, trattieni il tuo ardore, affinché io possa conoscere il tuo volto benedetto. L'essere luminoso che abita in te, quello io sono.

Brhadaranyaka Upanishad

Om! L'aurora è il capo del cavallo sacrificale; il sole è il suo occhio, il vento il suo respiro, il fuoco onnipresente la sua bocca, l'anno il suo corpo. Il cielo è il dorso del cavallo sacrificale; l'atmosfera è la sua pancia, la terra il suo inguine; i punti cardinali sono i suoi fianchi, i punti intermedi le sue coste, le stagioni le sue membra, i mesi e le quindicine le sue giunture, i giorni e le notti le sue gambe, le costellazioni le sue ossa, le nubi le sue carni. La sabbia è il cibo che egli digerisce; i fiumi i suoi intestini, i monti il suo fegato e i suoi polmoni, le erbe e le piante la sua criniera; il sole che si leva è il davanti del suo corpo, dietro il sole che tramonta. Il lampo è il suo ringhio, il tuono lo scuotimento del suo corpo, la pioggia la sua orina, la voce della parola il suo nitrito.
Il giorno, che posa sull'oceano orientale, fu la coppa posta dinanzi al cavallo. La notte, che si trova sull'oceano occidentale, fu la coppa posta dietro al cavallo. Egli fu il Destriero che portò gli Dei, lo Stallone che portò i Gandharva, il Corsiero che portò i Demoni, e infine portò gli Uomini, come fa il Cavallo. Egli è di casa nell'oceano, dove si trova la sua stalla.

Mandukya Upanishad

 

Tutto è contenuto nella sillaba Om.

Il passato, il presente e il futuro non sono altro che la sillaba Om.

Quello che trascende la triade temporale, a sua volta, è l’Om.

Tutto è Brahman.

Il sé è Brahman.

Ecco il Signore supremo, l’onnisciente, il regolatore interno;

esso è il principio, l’origine e la fine di tutti gli esseri.

 

Sri Adi Shankara

Shankaracharya

Vivekacudamani

“Il gran gioiello della discriminazione”  
Istruzione sul discernimento spirituale

1. Rendo onore al sadguru Govinda la cui natura è suprema beatitudine, il quale si rivela mediante l’insegnamento vedantico che è di là dal linguaggio e dalla percezione mentale.
2. Per tutte le creature viventi non è agevole avere una nascita umana, in particolare ottenere un temperamento maschile, più difficile è perseguire il sentiero della devozione vedica, più difficile ancora è acquisire la perfetta conoscenza delle Sacre scritture. Altresì è raro discriminare tra il Sé e il non-Sé e realizzare l’identità del Sé con Brahman. Questo tipo di liberazione perfetta è il risultato di meriti accumulato nel corso di innumerevoli nascite.

Soundarya Lahari, L'Onda della Bellezza

"L'Assoluto è senza forma, ma l'energia è femminile. Quando l'energia prende forma, è chiamata Madre. Madre è la potenza in movimento, che solleva in onde le acque calme dell'Assoluto." Swami Vivekananda

"Non c'è Shiva senza Shakti o Shakti senza Shiva. I due, per loro stessa natura, sono uno. Ciascuno di essi è coscienza e beatitudine." Arthur Avalon

"Shakti è l'energia primordiale latente,  indifferenziata e auto-cosciente, che tutto pervade, che si manifesta per creare l'universo dopo il diluvio o la grande dissoluzione (Mahapralaya). Questa Shakti non è diversa dalla coscienza (Cit), il loro rapporto è di inseparabile unità (Avinabhava Sambandha) come tra il fuoco e il calore, un soggetto e le sue caratteristiche, la parola e significato ecc. In altre parole, uno non esiste senza l'altra." 

Advaita Sadhana

Antologia degli insegnamenti di
Sri Chandrasekharendra Saraswati Swamigal.
Commento del Vivekacudamani di Shankara. [PDF]

Con grande compassione il nostro Acharya Shankara Bhagavatpada ha tracciato il Saadhanaa-kramaM (il metodo della Sadhana) per raggiungere lo scopo dell’Advaita. Tutto ciò che ha fatto è in accordo con la Sruti (i Veda). Il corpo dei Veda ha una testa, le Upanisad. Esse sono chiamate ‘shruti-shira’, che significa ‘la testa della Sruti’. L’alto edificio della Sadhana costruito per noi dall’Acharya è fondato sulle Upanisad.
Egli ha tracciato un programma chiamato ‘Saadhana-chatushhTayaM’ (la Sadhana in quattro fasi). Nel suo monumentale commento al Brahma Sutra fin dall’inizio dice: 'nitya-anitya-vastu-vivekaH' si deve discriminare tra ciò che è reale e cioè che non è reale e nomina la quattro fasi del cammino.
Come il Sutra-Bashya è il culmine dei commenti scritturali, il Viveva-Chudamani è la massima espressione delle opere dette prakarana. In questo testo è data una perfetta definizione delle quattro fasi del Saadhana-chatushhTayaM.

La filosofia di Shankara

La filosofia di Shankara

Questo articolo esamina l'Advaita Vedanta classico di Shankaracharya e alcune questioni basilari di epistemologia e soteriologia. La presentazione rimarrà fedele a ciò che Shankara ha effettivamente detto ed eviterà interpretazioni speculative del suo pensiero, come ad esempio le forme dell'Advaita Vedanta che possono significativamente essere adattate in modo da soddisfare le esigenze degli occidentali moderni. Per la maggior parte ci si riferisce ai commenti di Shankara sul Brahma Sutra e Brhadaranyaka Upanishad, forse i suoi lavori più importanti, con alcuni riferimenti anche ai suoi altri scritti. 

Ascolto, riflessione e meditazione nella pratica dell'Advaita Vedanta

L'analisi mentale dell'Upadesha (insegnamento) attraverso la riflessione costante è l'esercizio detto Manana. Successivamente, quando non esiste più necessità e scopo per ulteriore analisi e discussione, si procede con NidhidhyAsana, che è lo stato in cui la mente è concentrata esclusivamente nell'identificazione con l'atman- tattva, su cui si è giunti a una perfetta chiarezza, e la mente non è scossa da alcun movimento.

La Mente e la funzione dei Mahavakya.

La mente, che è chiamata 'organo interno' (antaHkaraNam), è indicata con quattro nomi in base alle rispettive funzioni: manas, buddhi, chittam e ahamkAra. La funzione del pensiero è conosciuta come manas, che designa l'attività della mente ordinaria, come comportamento, esperienza di piacere, repulsione, reazione e relazione. Quando viene presa una decisione, appellandosi al senso etico, alla verità, al discernimento, è detta buddhi o intelletto. La funzione di memorizzare le esperienze e le informazioni, e di compiere operazioni formali, è chiamata chittam. Il senso dell'io è ahamkAra. 

Devi Mahatmya

 

Durante il Navaratri, in India è tradizione leggere il Devi Mahatmya, suddiviso per i nove giorni (notti) dedicati alla Madre divina. La lettura di questo testo è una pratica devozionale riconosciuta e ricca di insight significativi. Il testo è stato tradotto e curato dai miei studenti durante il Solstizio d'estate 2020, anno apocalittico e insieme straordinario, e quindi da me revisionato commentato durante il Navaratri, per condividere la lettura del testo, a protezione e conforto dei devoti della Madre e di tutti. Lo dedichiamo al Navaratri d'autunno per tutti coloro che cercheranno rifugio nella Sapienza in tempi di angoscia. Adesh Adesh. Jay Ma!

 

Introduzione:

I. ORIGINE E TRADIZIONE DEL CULTO DELLA MADRE DIVINA IN INDIA.

II. IL DEVI MAHATMYA.

Giorno 1: Capitolo I (Madhu kaitabha samhaaram)

Giorno 2: Capitoli II, III, IV (Mahishhasura samhaara)

Giorno 3: Capitoli V, VI (Dhuumralochana vadha)

Giorno 4: Capitolo VII (Chanda Munda vadha)

Giorno 5: Capitolo VIII (Rakta biija samhaara)

Giorno 6: Capitoli IX, X (Shumbha Nishumbha vadha)

Giorno 7: Capitolo XI (Lode di Narayani)

Giorno 8: Capitolo XII (Phalastuti)

Giorno 9: Capitolo XIII (Benedizione di Suratha e Samadhi)


Testo e commento del Devi Mahatmya in PDF

Il Sannyasa è di due tipi, noti come Vividisha Sannyasa e Vidvat Sannyasa, ovvero la rinuncia del Ricercatore e la rinuncia del Conoscitore. Il primo tipo conduce alla liberazione dopo il trapasso (Videhamukti) e il secondo alla liberazione nel corso della vita (Jivanmukti). Il pre-requisito essenziale per entrambi i generi di Sannyasa è il distacco. Il distacco è di tre generi: debole, forte e molto forte. Il distacco che sopravviene in caso di talune calamità, come la morte di una persona cara o la perdita di beni, non può durare ed è definito debole. Tale temporaneo sentimento di distacco non rende la persona qualificata al sannyasa. La determinazione di non sposarsi, non avere figli e lasciare la vita laica è definita distacco forte. Vi sono quattro generi di Vividisha Sannyasa: Kutichaka, Bahoodaka, Hamsa e Paramahamsa. Il distacco che si definisce forte, rende la persona qualificata soltanto per i primi due generi di sannyasa, Kutichaka e Bahoodaka. Questi due ordini sono detti “Tridandin” poiché portano come segno distintivo tre lunghi bastoni sottili, legati insieme, simbolo della triplice rinuncia a tutto ciò che è connesso a corpo, mente e parola. I Kutichaka risiedono in un eremo solitario, mentre i Bahoodaka si spostano continuamente tra i vari luoghi sacri. La scelta tra le due opzioni dipende principalmente dalle proprie condizioni fisiche, se adatte agli spostamenti continui o meno.

Quando una persona è libera da desiderio, non solo dei piaceri terreni, ma anche dei piaceri dei mondi superiori (ricordiamo che il “paradiso” nella dottrina hindu è soltanto un mondo superiore in cui si dimora dopo il trapasso per un tempo limitato, godendo dei frutti delle buone azioni compiute, prima di reincarnarsi ancora), grazie alla consapevolezza che anch’essi sono transitori e porteranno comunque al ripetersi del ciclo di nascita e morte, questi è detto avere un distacco molto forte. Questo tipo di distacco consente alla persona di prendere i titoli di Hamsa e Paramahamsa Sannyasa. Un Hamsa Sannaysi va dopo il trapasso al Brahmaloka, lì realizza la verità assoluta e ottiene la liberazione. Questa via è detta Kramamukti, o liberazione per stadi. Il Paramahamsa è l’asceta dell’ordine più elevato, che possiede completo controllo dei sensi; può conoscere la liberazione già durante il corso della vita: e questo viene definito Jivanmukti.

I Paramahamsa sono di due tipi: quelli che ricercano la liberazione e i conoscitori del Sé. Il ricercatore è colui che ha rinunciato a tutti i desideri e non vuole più null’altro che la realizzazione del Sé. Egli non desidera alcuno dei tre mondi, non il mondo degli uomini, non quello degli antenati, né quello degli dei. I mezzi per ottenere ciascuno di questi tre mondi sono rispettivamente: mettere al mondo un figlio, l’osservanza dei riti prescritti nei Veda e la meditazione (Br.Up.1.5.26). Il ricercatore che rinuncia a tutti questi strumenti rimane intento unicamente alla ricerca del Sé, ovvero alla liberazione. Per ottenere questo deve arrivare al completo controllo della mente, del corpo e dei sensi.

Vividisha Sannyasa - La rinuncia del Ricercatore

Il desiderio di realizzare il Sé insorge come risultato dello studio dei Veda e della pratica dei riti prescritti, in questa vita o nelle precedenti. La rinuncia che consegue a tale desiderio è detta Vividisha Sannyasa o “rinuncia del ricercatore” (Vividisha significa “desiderio di sapere”). Questo Sannyasa è il tramite della conoscenza del Brahman. Ne esistono due tipi: uno consiste nella rinuncia ai Kamyakarma, o azioni motivate dal desiderio dei frutti, il secondo nell’ingresso in un ordine di Sannyasa istituzionale con la pronuncia della formula rituale (Praisha), il conferimento del bastone, ecc. Coloro che non possono entrare in un Sannyasa Ashrama per ragioni famigliari o di altra gravità, possono rinunciare mentalmente, continuando a svolgere i doveri relativi alle condizioni di vita esistenti. Vidvat Sannyasa - La rinuncia del Conoscitore

L’ingresso in un ordine di Sannyasa di coloro che abbiano già riconosciuto la realtà del Sé mediante l’ascolto, la riflessione e la meditazione dei testi sacri, è detto Vidvat Sannyasa. Un tale esempio è quello del saggio Yajnavalkya che, realizzata la più alta verità, espresse le sue intenzioni alla moglie Maitreyi e quindi divenne un Sannyasin (Br.Up. 4.5.2 e 4.5.15)

Mentre il Vividisha Sannyasin deve dedicare se stesso allo studio delle scritture, alla riflessione e alla meditazione per aspirare alla realizzazione del Sé, il Vidvat Sannyasin lotterà per arrivare all’annientamento della mente e all’eliminazione della Vasana, al fine di conseguire la Liberazione in vita. Su questo argomento prosegue il piano dell’opera di Vidyaranya.

Nella Jabala Upanishad, quando Atri obietta che l’abbandono del cordone sacro dei Bramani non è permesso, Yajnavalkya replica che è la conoscenza del Sé il vero cordone sacro del Paramahamsa Sannyasin (Jabala.Up.5). Dunque l’assenza di un cordone sacro esteriore è segno che il sannyasin appartiene alla categoria dei Paramahamsa. Si dice inoltre in questa Upanishad che Vidvat Sannyasin non recano segni esteriori dell’appartenenza ad un Ashrama, non sono legati ad alcuna forma di condotta e si comportano come dei folli, senza essere folli.

La procedura per cui un Tridandin può diventare un Vividisha Sannyasin, contraddistinto dal bastone unico, è la seguente. I tre bastoni, la borraccia per l’acqua e la stampella d’appoggio, il ciuffo e il cordone sacro devono essere offerti al Bhurloka, la terra, pronunciando il mantra "Bhuh Svaha", che significa “offerta a Bhuh” e quindi il tutto deve essere gettato in acqua. Quindi ci si dedicherà completamente alla ricerca del Sé.

Il Paramahamsa Vidvat Sannyasin è simile a un bambino appena nato, la cui mente è libera dalle coppie di opposti, priva di senso del possesso, fermamente stabilizzata nel cammino verso il Supremo Brahman, libera da desideri. Per mantenersi in vita senza contrarre obblighi con nessuno, si sostenta mendicando nei luoghi e nei periodi prescritti, usando l’ombelico come ciotola per le elemosine, imperturbabile che riceva o no a sufficienza; senza fissa dimora, si ripara dentro case in rovina, templi, sotto gli alberi, in opifici, in case dove arda il fuoco sacrificale, sulla riva dei fiumi, in grotte di montagna, nel cavo di un albero o nell’area sacrificale vicina ad una sorgente. Egli è libero da ogni sforzo, privo del senso di “io e mio”, sempre assorto nella meditazione del Sé, stabilizzato nella conoscenza del Sé; abbandona tutte le azioni terrene e in ultimo abbandona il corpo in completo distacco.

Sia i Vividisha Sannyasa che i Vidvat Sannyasa ricadono nella categoria dei Paramahamsa, ma le loro rispettive caratteristiche sono molto differenti e talvolta contraddittorie. Nell’ Arunika Upanishad è detto che il Vividisha Sannyasa è contraddistinto dall’abbandono di: ciuffo (segno dell’appartenenza alla casta dei Bramani), sacro cordone, studio del Karmakanda dei Veda (libri sulle azioni rituali), ripetizione del Gayatri, ecc e dall’assegnazione del bastone, dalle tre abluzioni giornaliere, dalla meditazione sul Sé e dallo studio delle Upanishad. Sebbene le stesse cose siano prescritte anche per i Vidvat Sannyasa, è detto nella Paramahamsa Upanishad che non sono necessarie. Un Vidvat Sannyasin è libero da tutte le regole che riguardano simboli esteriori, dalle norme sociali e dalle convenzioni. Egli rimane sempre e soltanto assorto nella realizzazione dell’identità col Brahman.
Anche nella Smriti, la distinzione tra questi due tipi di Sannyasa è evidente. A proposito del Vividisha Sannyasa, nel Brihaspati Smriti è detto: “Quando si giunge alla conoscenza (in senso generale) del Brahman Supremo, si prenda il bastone unico, e quindi si abbandonino il cordone sacro e il ciuffo; si dovrebbe rinunciare a tutto e prendere il Sannyasa solo dopo aver realizzato direttamente il Brahman supremo”.

La rinuncia non può basarsi sul desiderio di conoscenza che proviene dalla semplice curiosità. Vividisha implica un desiderio esclusivo di conoscenza, che esclude ogni altra cosa. Nel commento alla Bhagavad Gita, Shankara afferma che non si può essere ricercatori della Liberazione fintanto che ci sia ancora desiderio per i frutti delle azioni. Significa che Vividisha, il desiderio della conoscenza di Sé, si può dire attivo soltanto quando si abbia un totale distacco verso qualsiasi altra cosa.
L’apice della conoscenza è raggiunto quando l’identificazione col Sé sostituisce completamente l’identificazione col corpo. A questo punto il nodo del cuore è spezzato, ogni dubbio superato e le impressioni latenti sono scomparse.

Il “nodo del cuore” è l’errata identificazione del Sé con l’intelletto, dovuto all’ignoranza senza inizio; ha questo nome perché è un vincolo stretto come un nodo. I dubbi da superare sono: il Sé è soltanto il testimone o anche l’autore delle azioni? Se è soltanto il testimone, è questo il Brahman di cui parlano le Upanishad? E se è Brahman, può essere conosciuto dall’intelletto? E la Liberazione consiste semplicemente in questa conoscenza? Le “impressioni latenti” sono quelle che conducono alle nascite future. Questi tre fattori, risultanti dall’Avidya (ignoranza metafisica), scompaiono alla realizzazione del Sé.

Si solleva un nuova questione: se il Vividisha Sannyasa conduce al conseguimento della conoscenza del Sé, che impedisce le rinascite future, mentre ciò che rimane della vita presente rimane attivo a causa del Prarabdha karma (karma accumulato in precedenza), a che serve il Vidvat Sannyasa? Il Vidvat Sannyasa è necessario per raggiungere la Liberazione in vita, la condizione di Jivanmukti. Il Vividisha Sannyasa conduce solo alla Conoscenza.

La natura del Jivanmukti

La schiavitù è l’esperire piacere e dolore che derivano dal considerarsi gli autori delle proprie azioni e i fruitori delle loro conseguenze. A causa di questo incatenamento non si è capaci di esperire la Beatitudine che ci appartiene naturalmente. La cessazione del legame di schiavitù è il Jivanmukti o Liberazione in vita.
L’efficacia delle pratiche prescritte nelle Scritture è riconosciuta nel dialogo tra Vasishtha e Rama nello Yogavasishtha. Rama dice: “Le impressioni (vasana) latenti nella mia mente mi costringono ad agire in un certo modo. Non ho potere contro di esse”. Vasishta gli risponde: “Se sei sottoposto all’azione delle Vasana, la tua volontà, insieme all’entusiasmo e alla disciplina della mente, della parola e dell’azione sono i rimedi necessari per liberarti dalla tua dipendenza. Le vasana sono di due tipi: buone e cattive. Se le buone sono predominanti, esse stesse ti porteranno a conseguire la liberazione. Se sono predominanti le istanze negative, devi esercitarti a lungo al fine di sopraffarle. La mente può essere distolta dagli oggetti che non conducono al progresso spirituale, frequentando la compagnia di persone buone. La mente è come un bambino. Può essere disciplinata con la persuasione o con le maniere forti. Il controllo del respiro (Pranaayaama) e il ritrarre la mente dagli oggetti esterni (Pratyaahaara) sono due validi metodi per sottomettere la mente. In questo modo la mente diviene presto quieta. Con la pratica del Raja Yoga sorgono desideri positivi, proprio grazie alla pratica dello yoga. Si deve proseguire con tale pratica seguendo le istruzioni dell’insegnante, delle scritture e degli altri mezzi validi di conoscenza (Pramaana), finché si consegue la completa padronanza della mente e si realizza l’identità di Atman e Brahman. Dopo di che, quando gli ostacoli della forma e dei desideri illegittimi si sono superati, si devono abbandonare anche i desideri buoni. Tutti i desideri (anche quelli che provengono dal karma) devono essere superati per mezzo delle yoga, così che non si abbiano esitazioni a conseguire Liberazione in vita (Jivanmukti).

Caratteristiche del jivanmukti

Sruti e Smriti affermano l’esistenza dello stato di Jivanmukti. La Kathopanishad dice: “Colui che è liberato è completamente liberato”, che significa che colui che è diventato completamente libero dalla schiavitù nel corso della vita, è libero anche da ogni possibilità futura di ricadere in schiavitù, dopo la dipartita dal corpo.Poiché se dopo la morte tutti rimangono liberi per un certo periodo di tempo, ma certamente rinascono in seguito, colui che ha ottenuto la liberazione in vita rimane libero dalla nascita per sempre. Nella Brhadaranyaka Upanishad è scritto: “quando tutti i desideri che albergano nel cuore sono svaniti, il mortale diventa immortale e consegue il Brahman già in questo corpo” (4.4.7). In un altro passo della Sruti è detto: “Sebbene possieda occhi, egli è come se fosse privo di occhi; sebbene possieda orecchi, è come se non possedesse orecchi; sebbene dotato di mente, è come se fosse privo di mente; e sebbene dotato di vita, è come uno che non abbia vita”.

Il Jivanmukta è descritto con vari nomi, quali: Sthitaprajna (uomo dalla ferma saggezza), Bhagavad-bhakta (devoto di Dio), Gunaatita (al di là dei tre Guna), Brahmana (che ha realizzato il Sé), Ativarnaasramin (oltre i limiti dei Varna e degli Ashrama).
La condizione di Jivanmukti può essere ottenuta solo da una persona che abbia abbandonato tutte le azioni, quelle vediche come quelle secolari, che sia concentrato solo sulla conoscenza e immerso nella contemplazione del Sé. Jivanmukti e Videhamukti si distinguono solo in base alla presenza o assenza del corpo e degli organi di senso. In entrambi è assente la percezione della dualità.

Il Jivanmukta è colui per il quale questo mondo, in cui si muove e agisce, ha cessato di esistere. La mente della persona ordinaria reagisce alle varie forme del mondo e conosce la varietà e le differenze tra esse. La mente del Jivanmukta non viene modificata allo stesso modo e non percepisce differenze, ma vede tutte le forme come Brahman. Nel sonno profondo la mente non subisce trasformazioni, ma permangono in essa i semi della trasformazione. Perciò lo stato di sonno non può essere equiparato allo stato di Jivanmukti. I Jivanmukta non è toccato da piacere e dolore; non è compiaciuto per un fatto positivo, né è depresso per una calamità. Non brama di ottenere qualcosa, ma sopravvive con ciò che gli arriva spontaneamente. Sebbene i suoi sensi siano in funzione e possa fare esperienza di tutto, la sua mente è del tutto calma e non reagisce mai. Sebbene i suoi occhi vedano le cose, egli non le giudica buone o cattive, favorevoli o sfavorevoli, e dunque è libero da agitazione, attaccamento o avversione. I sensi, di per sé stessi, non causano alcun danno. E’ la mente che giudica ciò che viene esperito dai sensi e sviluppa attrazione e repulsione nelle persone comuni. Poiché la mente del Jivanmukti non sviluppa alcun giudizio, egli è privo di attaccamenti e di avversioni. Grazie all’assenza di agitazione mentale, egli è libero dalle vasana (impressioni latenti). La sua mente si mantiene sempre pura. Mai guarderà se steso come l’agente delle azioni, non identificandosi con il complesso corpo-mente, che è il vero protagonista dell’agire. Di conseguenza non è mai gratificato o depresso a causa dei risultati, buoni o attivi, delle azioni. Nessuno ha ragione di temerlo, poiché mai insulterà o offenderà altri in alcun modo. E mai avrà paura di altri. Rimarrà inalterato anche se insultato o aggredito. Egli non distingue le persone tra amici e nemici. Sebbene sia ricco di conoscenze, mai ne farà esibizione. La sua mente è del tutto esente da pensieri mondani e sempre concentrata sul Sé. Rimarrà sempre calmo, anche su fatti che lo riguardino direttamente, poiché libero da preoccupazioni di sorta, e soltanto consapevole della pienezza del Sé. Queste sono le caratteristiche del Jivanmukti.

Videhamukti

Quando il corpo del Jivanmukta muore, egli diventa Videhamukta, liberato dall’esperienza empirica e realizzato nella sua vera natura, come l’aria ritrova quiete alla fine della tempesta di vento. Immediatamente è dissolto il suo corpo sottile. Non si può definirlo “sat” (vero, esistente), perché si dovrebbe esprimere, non si può definirlo “praajna” (unità soggetto-oggetto), condizionata dall’avidya, o “Isavara”, che è condizionato da Maya. Non si può chiamare “asat” (inesistente, falso) o fatto di mera materia. Egli non sperimenta gli oggetti grossolani percepiti dai sensi. Non è Virat (il mondo), non Hiranyagarbha (uovo cosmico), non Isvara. Non è Visva (stato di veglia), Taijasa (sogno) o Praajna (sonno profondo). Perciò non si colloca nelle categorie di microcosmo (vyashti) o macrocosmo (samashti).

Sthitaprajna

L’uomo dalla stabile coscienza (sthitaprajna) è descritto nella Bhagavad Gita come colui che ha conquistato il supremo distacco e la perfetta padronanza della mente, grazie alla pratica dello yoga. La sua mente è sempre fissa sulla Verità. Quando in Samadhi, è assolutamente libero da tutti i desideri, e la mente non è sottoposta ad alcuna trasformazione. La sua soddisfazione è espressa dal sorriso di contentezza. Tale soddisfazione proviene dalla realizzazione del Sé. Nel Samprajnata Samadhi sussiste la distinzione tra colui che medita, l’oggetto della meditazione e l’atto del meditare (nota come Triputi); nel samadhi di cui stiamo parlando, detto Asamprajnata Samadhi, non esiste questa distinzione. La contentezza che ne deriva non è dovuta a una trasformazione della mente, ma dall’impressione lasciata dallo stato precedente, il Samprajnata Samadhi. Quando tale persona esce dallo stato di Samadhi, è privo di ansietà e di dolore, indifferente ai piaceri e libero dalle passioni, dal timore e dalla rabbia. Tale saggio, uscito dal Samadhi, conoscerà la trasformazioni mentali e le percezioni di piacere e di dolore provenienti dal Praarabdha karma, ma non proverà bramosia o ansietà per esse, poiché è dotato di perfetto discernimento e distacco. Passioni quali la paura o la rabbia, attaccamento, piacere o disgusto che sono dovute al Tamas (guna o involucro dello stato inerte e buio), non hanno posto nella sua mente. Come la tartaruga ritrae i suoi arti, così egli ritira i sensi dagli oggetti. La mente del Sthitaprajna, quando non è immersa nel Samadhi, e comunque libera dalle trasformazioni grossolane (tamasiche). Quando immersa in Samadhi, la mente non è soggetta ad alcun genere di trasformazione.

La fruizione effettiva degli oggetti sensibili può essere abbandonata evitandone il contatto, ma il desiderio degli oggetti potrebbe comunque permanere. Il desiderio scompare quando si realizza il Sé. Il Realizzato non necessita di alcun oggetto esteriore per essere felice, essendo Beatitudine in sé. Nella Brhadaranyaka Upanishad è detto: “Perché desiderare dei figli, se abbiamo già realizzato il Sé.” (4.4.2).
La pratica costante della meditazione sul Sé è necessaria per evitare una inavveduta regressione dal livello spirituale raggiunto, anche per una persona che abbia raggiunto il pieno controllo dei sensi. Come si possa regredire è descritto nella Gita, 2.62 & 63: Quando un uomo pensa agli oggetti dei sensi, sviluppa attaccamento per essi. L’attaccamento porta ad avvertirne un intenso bisogno. Se il bisogno non viene esaudito, sorge la rabbia. La rabbia porta alla perdita della capacità di discriminazione tra bene e male. Questo accade quando si smette di meditare la Verità. In queste circostanze si diviene inadatti alla liberazione, poiché l’insorgere di idee opposte produrrà un potente ostacolo. Ma colui che abbia dominato la propria mente è libero dall’attaccamento e dall’avversione, anche se circondato da ogni sorta di oggetti dei sensi, sarà in pace.

I mezzi per conseguire la realizzazione, come il controllo della mente e dei sensi e la meditazione sul Sé, devono essere praticati volontariamente dall’aspirante, e diventare la caratteristica dominante del Liberato. La condizione di colui che è fermamente stabilizzato nella conoscenza del Sé, in cui ogni percezione di separatezza è obliata dall’ininterrotto flusso della luce del Sé, è detto Jivanmukti o Liberazione in vita.

Bhagavadbhaktah – Il vero devoto di Dio

Chi sia il vero devoto è descritto nella Bhagavad gita, capitolo 12, versi 13, 14. La mente del devoto è fermamente rivolta a Dio, nel Samadhi, e non è distratta da nessun altro pensiero. Quando non immersa nel Samadhi, sebbene sperimenti gli oggetti dei sensi, non avverte gioia e dolore, indifferente ad entrambi. I versi 15 e 19 dello stesso capitolo lo descrivono come inalterato dalle coppie di opposti. Nello Naishkarmyasiddhi, 4.69 Suresvaracharya afferma che le buone qualità, quali l’assenza di conflitti, si manifestano spontaneamente e senza alcuno sforzo personale. Sorgono naturalmente e non costituiscono, nel caso di una coscienza perfetta, degli strumenti per raggiungere uno scopo, come invece nel caso dell’aspirante.

Gunaatita – Colui che ha trasceso i Guna

Tale persona è descritta nel 14esimo capitolo della Bhagavad Gita. Il mondo intero è costituito dal prodotto dei tre Guna: Sattva, Rajas e Tamas. Colui che abbia trasceso i Guna è uno Jivanmukta. Illuminazione, attività e delusione sono rispettivamente conseguenti a Sattva, Rajas e Tamas. Sono attivi negli stati di veglia e di sogno, e cessano nel sonno profondo, nel Samadhi e nello stato di vacuità mentale. Le attività sono di due tipi: accettabili e inaccettabili. Il Gunatita, libero dalle nozioni di accettabile e inaccettabile, non prova alcun conflitto o desiderio. Grazie alla sua capacità di discriminazione permane completamente indifferente, come lo spettatore disinteressato che assista alla lotta tra due fazioni. Nella sua visione sono i Guna, nella forma dei sensi, ad agire e reagire a contatto con gli stessi Guna, in forma di oggetti, mentre egli, puro Atma, non ha nulla a che fare con essi. L’errata nozione di essere l’attore delle azioni (e perciò il fruitore delle conseguenze) è causa dell’agitazione mentale. Questa visione è del tutto assente nel Gunaatita e perciò egli è libero dall’agitazione, equilibrato nella gioia e nella pena. Il servizio all’Essere Supremo, con la pratica della conoscenza e della meditazione, insieme ad una inflessibile devozione, sono gli strumenti da adottare per coloro che vogliono diventare Gunaatita.

Braahmanah – Il conoscitore del Brahman

La parola Braahmana indica il conoscitore del Sé supremo. Questi è qualificato per diventare Vidvat Sannyasin. Egli è privo di ogni senso di possesso. Non si preoccupa del tipo di abiti che indossa o del cibo che mangia o del luogo in cui riposa. Accetta soltanto lo stretto indispensabile di cibo, vesti e riparo necessari alla sopravvivenza. Dovrebbe indossare unicamente una pezza di lino e portare un bastone allo scopo di infondere fede negli ascoltatori quando impegnato, per pura compassione, ad impartire la conoscenza del Brahman ad altri. Mai dovrà pronunciare una sola parola a proposito delle preoccupazioni mondane dei suoi allievi, nonostante la sua umana simpatia per loro, ma sempre restare assorto nella meditazione. Deve evitare di parlare di altro che del Brahman. Non ci sono impedimenti alla meditazione quando invece si è in solitudine. La Smriti afferma che il religioso mendicante deve restare solo, perché quando si è in due o più è possibile che si finisca a parlare di politica o delle elemosine che ciascuno ha ricevuto. Egli non dovrà offrire benedizioni ad alcuno perché anche questo costituirebbe una distrazione, portando a pensare a cosa desiderino le persone che richiedono un gesto benedicente. Ancora la Smriti afferma che la conoscenza non può essere ottenuta da colui la cui mente è impegnata con i problemi mondani oppure nell’apprendimento letterario, o ancora nella conservazione del corpo. Il liberato avrà abbandonato ognuna di queste cose. Invece di parole di benedizione, potrà pronunciare semplicemente “Narayana”, che adempie ad ogni richiesta di benedizione. Non dovrà impegnarsi in alcuna ricerca per guadagnare qualcosa per se stesso o per altri. E’ detto nella Gita 18.48 che ogni attività è oscurata dagli errori come il fuoco dal fumo.
Il saluto è prescritto soltanto per i Vividisha Sannyasin, in questo modo: “Un monaco anziano sia salutato solo se appartiene allo stesso ordine dei monaci, e mai nessun altro”. Domandarsi della relativa anzianità dei monaci e dell’appartenenza al proprio ordine porta a una distrazione della mente, così il saluto non è prescritto per i Vidvat Sannyasin. Sri Sankara dice nell’Upadesa Sahasri 17.64: “A chi rivolgerà il suo saluto il conoscitore del Sé, quando si è stabilizzato nell’assoluto, che trascende tutti i nomi e le forme? Egli non ha più nulla a che fare con nessun tipo di azione”. Sebbene il saluto che può arrecare disturbo alla mente sia proibito, il saluto che può arrecare tranquillità alla mente è permesso. Srimad Bhagavata, 3.29.34 & 11.29.16: “Si può salutare e prostrarsi anche a un cane, a un intoccabile, a una mucca o a un asino, realizzando che Dio è presente in tutti loro, come sostanza del Jiva (essere vivente)”. La riverenza agli uomini è proibita, la riverenza a Dio è sostenuta, perché questa conduce alla libertà dalla schiavitù. Colui che è fermamente stabile nella conoscenza del Sé non è abbattuto di non aver ricevuto del cibo e non è sovraeccitato dall’averne avuto, perché entrambe le circostanze sono dettate dal destino. Non è legato alle ingiunzioni e alle proibizioni dei Veda. Il saggio Narada afferma nel Narada-pancha-ratra, 4.2.23 che l’onni-pervadente signore Vishnu deve essere conservato gelosamente nella mente e mai dimenticato, neppure per un momento; tutte le ingiunzioni e le prescrizioni sono inferiori a questa. Nel Mahabharata, Santiparva, 237.13 è detto che gli dei considerano un Brahmana colui che teme la folla come si temono i serpenti, gli onori convenzionali come la morte e la donne come i cadaveri. Perché la compagnia può condurre a futili discorsi e gli onori all’attaccamento, che instillano tendenze avverse al vero scopo della vita. Lo Yogi, mantenendo la mente sulla via della saggezza, deve comportarsi in modo che gli altri lo trattino con disprezzo mai cerchino la sua compagnia. La Manusriti dice che si deve evitare perfino di sedersi accanto alla propria madre, alla sorella o alla figlia, poiché i sensi possono far cadere persino un saggio (2.215).

Gli uomini del mondo eviteranno la solitudine a causa della paura che ne può sorgere, mentre l’opposto è vero per gli Yogi. Lo spazio immenso è pieno della suprema beatitudine del Sé, agli occhi dello Yogi, poiché egli è sempre assorto in meditazione e perciò non trova motivo di timore. Un luogo affollato è inadatto alla meditazione, perciò lo Yogi lo eviterà ricercando luoghi di solitudine.

Ativarnaasramin – Colui che è oltre i limiti dei Varna e degli Ashrama

L’ Ativarnaasramin è descritto nel quinto capitolo della sezione sulla liberazione, del Suta Samhita. Egli è il maestro dei discepoli che provengono da tutti i quattro Ashrama (stadi della vita: studente, capofamiglia, ritirato, rinunciante). Non diventerà mai il discepolo di altri. Egli è il Maestro dei maestri. Non vi è nessuno al mondo uguale o superiore a lui. Egli è colui che ha realizzato la verità suprema. Egli è completa Beatitudine e il testimone dei tre stati di coscienza: veglia, sogno, sonno profondo. Ho ottenuto la piena realizzazione che Varna (classi) e Ashrama sono sovrapposizioni immaginarie, imposte sul corpo, apportate dal Maya e che egli, essendo puro Atma, non ha alcuna relazione con esse. Ha riconosciuto nelle Upanishad che l’intero universo funziona meramente in presenza dell’Atma che è identico al Sé, così come gli esseri umani compiono le proprie attività alla luce del sole, mentre il sole non è per nulla coinvolta nelle loro azioni. Come vari monili d’oro non sono altro che oro, l’universo dalle molteplici forme e nomi proiettai da Maya non è altro che il Brahman. L’apparire di Brahman come universo è simile all’apparire della madreperla come argento. Il supremo Dio che è uno soltanto, privo di qualunque relazione, è come lo spazio che tutto pervade, pervade ogni essere, grande o piccolo, alto o basso. Ha realizzato che il mondo percepito nello sto di veglia è una creazione di Maya, come tutti gli oggetti dei sogni sono prodotti dell’illusione. Realizzato che egli stesso è il Sé, si trova ad essere oltre tutti i doveri destinati ai quattro stadi della vita.

Dunque è definitivamente dimostrato dalla Sruti che il Jivanmukti è un fatto reale.

La Tradizione degli Yogi

GORAKHNATH E LA TRADIZIONE NATH

 

Adya (il principio maschile primordiale) e Adyā (il principio femminile primordiale) erano i due antichi dei che diedero inizio alla creazione. Successivamente nacquero quattro Siddha, dopo di loro nacque una ragazza, il cui nome era Gaurī. Per ordine di Adya, Śiva la sposò e discese sulla Terra. I nomi di quei quattro Siddha erano Mīnnāth (Matsyendranath), Gorakṣnath, Hāḍiphā (Jalendharnath) e Kānphā. Dal momento in cui furono creati, restarono assorti dalla pratica dello yoga e si sostenevano solo di aria. Goraksh Nath era al servizio di Mīn-nāth e Kanphanath era di Hāḍipā. 

dal Navanath Katha

Goraksha Sataka

La Centuria dei Versi di Gorakhnath

Om! Incomincia la centuria di Goraksha sull'Hata Yoga!
1. Mi inchino al venerabile Guru Matsyendranath, supremo bene, incarnazione della gioia; la cui semplice prossimità trasforma il corpo in pura coscienza e beatitudine.
2. Colui che, in virtù della paatica dell'adhdrbandha e delle altre tecniche posturali, illuminato dalla luce della coscienza, è lodato come Yogi e quale essenza e misura del tempo, degli yuga e dei kalpa, Colui in cui il Signore, oceano di conoscenza e beatitudine, ha preso forma, Colui che è superiore a tutti gli attributi qualitativi, manifesti e immanifesti, questi, Sri Minanath, io saluto devotamente
3. Avendo salutato con devozione il proprio Guru, Gorakhnath descrive la suprema conoscenza, ricercata dagli yogi, che conduce al Bene supremo.
4. Per il bene degli Yogi, Goraksa espone la Centuria di versi la cui conoscenza è il percorso sicuro verso lo stato supremo.
5. Questa è la scala che porta alla liberazione, per cui la mente è distolta dalle gioie dei sensi e si rivolge allo spirito, e con cui si sfugge la morte.

 

SIṢYĀ DARSAN

OṂ. Dall'eterno, l'Om emerge. Dall'Om, lo spazio [ākāś] emerge. Dallo spazio, l'aria emerge. Dall'aria, il fuoco emerge. Dal fuoco, l'acqua emerge. Dall'acqua, la terra emerge. La forma della terra è la bellezza della Dea. La forma dell'acqua è l'aspetto di Brahma. La forma del fuoco è la maya di Vishnu. La forma dell'aria è il corpo di Dio. La forma dello spazio è l'ombra del Suono [Nad] La forma del Suono emerge dall'eterno.

ABHAI MĀĀTRĀ JOG

OM. Il lignaggio dei Perfetti, la via della saggezza, la vera terra, la postura naturale e il respiro, la medicina filosofale del respiro yogico, la grotta dell'autocontrollo, l'astinenza come perizoma, il decoro come cintura di castità, l'unità trascendente come scialle di meditazione, l'unione, l'Uddhiana Bandh, il vero mudra, la virtù come abito, il perdono come cappello, l'ardore come supporto, l'introspezione come sacca delle elemosine, la pazienza come bastone, la discriminazione come spada, la pratica ascetica come ruota, il chakra radice come ciotola per l'acqua, la mente come acqua, l'elisir come cibo, la compassione, la meditazione del segreto, il discernimento come libro, la lingua come alchimia...

 

Adesh Adesh

Quando due Yogi Nath si incontrano, usano la parla आदेश (Ādeśa)per rivolgersi l'un l'altro il saluto. Nel dizionario Sanscrito o Hindi troveremo che la parola ādeś si traduce come ordine, legge, comando o istruzione, ma i Nath associano a essa un significato molto più ampio.

La parola ādeśa è composta di due parti: आदः (ādaḥ), e ईश (īśa), dunque ādaḥ + īśa = Ādeśa. आदः (ādaḥ) significa ricevere o essere legati a, mentre ईश (īśa) significa signore, padrone, ed è anche uno dei nomi di Shiva; inoltre esprime anche eccellenza, abilità, potere. I Nath ritengono che fu Shiva stesso il fondatore del loro ordine, con il nome di आदिनाथ (Ādi Nātha), "Il Primo Nath", "Il Maestro Primordiale", che è unanimemente accettato dagli Yogi come Adi Guru (Primo Guru) e la Divinità sovrana del Nath Sampradaya. E' detto anche Yogeshvara (il Signore dello Yoga) l'ideale ascetico stesso, signore di austerità e penitenza, Signore degli spiriti e delle anime. Nel senso più ampio, Adi Nath si può tradurre come "il Signore Primordiale", nel suo ruolo di Signore di tutto il creato.

GORAKSHA VACANA SAMGRAHA.

Le istruzioni di Gorakhnath. 

1. Alcune persone desiderano la non dualità, altri desiderano la dualità. Ma non troveranno la Realtà, che è sempre e ovunque la stessa, diversa dalla dualità e dalla non dualità.
2. Se il Dio (Shiva) a cui tutto va è immutabile, pieno, indiviso, allora oh! La maya, la grande illusione, le false nozioni di dualità e non dualità.
3. Si dice che il supremo Brahman sia libero dall'esistenza e dalla non esistenza, libero da distruzione e generazione, al di là di ogni concezione.
4. Coloro che conoscono la Realtà lo conoscono come infinito spazio, vera conoscenza e beatitudine, ignoto al ragionamento e all'esempio, al di là della mente, dell'intelletto e delle altre funzioni.
5. Shakti è inerente a Shiva, Shiva è inerente a Shakti. Si deve riconoscere che non c'è differenza tra essi, come tra la Luna e la sua luce.
6. Quindi Shiva senza Shakti non potrebbe fare nulla. Ma dacché è unito al suo potere (shakti), è causa di tutte le forme sensibili.
7. Dotato di infinita Shakti, Shiva perpetua il manifestarsi di tutte le forme, eppure rimane uno solo, senza secondo, nella sua propria forma.

Adi Nath, Matsyendra Nath e Goraksh Nath. L'origine della tradizione Nath.

Da tempo l'India è riconosciuta come un importante centro della vita spirituale, che ha esercitato grande influenza sullo sviluppo di tutta la civiltà umana. La storia del paese è stata sempre segnata dalle storie di diversi grandi santi, Siddha e MahaYogi, che appaiono di volta in volta a guidare l'umanità verso ideali più alti, grazie all'esempio delle loro vite illustri.

Alcuni aspetti degli insegnamenti dei Nath

La posizione metafisica dei Nath non è monista né dualista. E' trascendente nel più vero senso della parola. Essi parlano dell'Assoluto (Nath), al di là delle opposizioni implicite nei concetti di Saguna e Nirguna, o di Sakara e Nirakara. Perciò, per essi il fine supremo della vita è realizzare se stessi come Nath e restare eternamente radicati al di là del mondo delle relazioni. La via per conquistare tale realizzazione è detta essere lo yoga, su cui investono molta energia. Sostengono che la Perfezione non si posa raggiungere con altri mezzi, se non con il sostegno della disciplina dello yoga.

I Siddha e la Via del Rasa

Un Siddha è qualcuno che si dice abbia raggiunto poteri sovrumani (Siddhi) o un Jivanmukthi, un liberato in vita. Il termine potrebbe anche essere tradotto come il raggiungimento della perfezione o dell'immortalità. Tale Siddha dotato di un corpo divino (divyadeha) è Shiva stesso (Maheshvara Siddha). È il perfetto, che ha superato le barriere del tempo, dello spazio e dei limiti umani. Un Siddha nella sua forma idealizzata è liberato da tutti i desideri (anyābhilāṣitā-śūnyam), colui che ha raggiunto un'identità impeccabile con la Realtà suprema.

Gorakh Bani

 

Il Gorakh Bani è un poema sapienziale di epoca medievale attribuito a Gorakhnath, composto di 275 strofe, più una serie di composizioni aggiuntive, dette Pada.
E’ un testo dei più misteriosi e affascinanti. E’ il Sabad, la parola spontanea dell’illuminato, lontana dai canoni scolastici vedantini e dello yoga, invece enigmatica e fitta di allegorie ermetiche e di riferimenti alla vita del monaco errante, dello Yogi, del Siddha, e alla sadhana esoterica. Perciò è un testo complesso, anti-intuitivo, ironico, poi beatifico e estatico, a tratti oscuro, comunque veloce, ritmato e vivace.
E’ un poema scritto con l’intento di sfidare l’intelligenza e le aspettative del lettore, e perciò per destrutturare il linguaggio e la mentalità razionale, e con esso il pensiero di chi legge. Il suo scopo è spingere a tuffarsi nell’orizzonte – o nel logos – del siddha, che è l’outsider e il mago, l’enigma in persona, al di là del duale e del non duale: lo Yogi Gorakh è “il fanciullo che parla dal più alto dei cieli”.
Si tratta di un orizzonte di meditazione che è molto radicale rispetto a quelli in voga ai nostri giorni. Il testo offre molti punti letteralmente di appoggio, su cui sviluppare quel percorso di meditazione, come inteso originariamente, su cui lo yogi deve lavorare in autonomia. Si spalanca l’orizzonte della meditazione, in cui approfondire le singole stazioni.

A differenza del sapere religioso, ben noto e reiterato dalla tradizione tra i confini del "villaggio", il sapere che Gorakh incarna non può essere indicato tra le definizioni che sono postulate dai dotti, dalle usanze e dai sacerdoti. Egli è un sapere incarnato e vivente, sempre nuovo, imperituro e rinnovato dall’esperienza che nel tempo è maturata nella coscienza degli yogi che hanno intrapreso lo stesso cammino, che si illuminerà con l’immagine già misteriosamente addotta da Eraclito. “Un fanciullo che parla dall’alto dei cieli”.

La Parola (Sabad) che andiamo a esporre è esoterica, codice e chiave di accesso a un regno e un pensiero differenti. Nessuno può dire di possederla, poiché la sua espressione è il suo stesso occultamento e la sola chiave d’accesso è il risveglio che riesce a suscitare. Il Sabad deve procurare il risveglio della stessa condizione nell’interlocutore, risvegliare il Sabad. Non è un sistema normativo che si possa imporre, non è un’ideologia a cui si possa aderire, non è un argomento che si possa padroneggiare, non è una tesi che si possa confutare o un sistema da applicare alla lettera. Sabad è la libertà della Parola ispirata, dell’esperienza diretta, del cuore di chi parla, il riverbero del suono primordiale incausato. Sabad è il seme stesso che si getta nel terreno del cuore, dove Gorakh "ara il campo". Chi nasce da quel seme è "uno di noi".

 

Testo e commento del Gorakh Bani sono pubblicati su Satsang.it

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