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Testi del Vedanta, dello Yoga e della tradizione Hindu.

Dal 2001 Visionaire.org è scritto, illustrato, pubblicato da Beatrice Polidori (Udai Nath)

Testi del Vedanta

Bhagavad Gita

Il Signore creò  il mondo, e volle proteggere la sua esistenza. In primo luogo fece i progenitori, guida delle genti (prajaa - Pati), a partire da Marichi, e  impartì loro la legge  (Dharma), caratterizzata dai precetti operativi  (pravRitti) descritti nei Veda. Poi creò Sanaka, Sanandana e altri, e impartì loro la legge della rinuncia all'azione (NIVRitti), dalla conoscenza e dal  distacco. Duplice è la Legge descritta nei Veda - una di azione e l'altra di rinuncia all'azione – con cui è retto il mondo. Questa duplice legge deve essere osservata da parte dei membri di tutte le classi, a cominciare dai Brahmana, per tutta la durata delle stagioni della vita, in quanto porta direttamente a ottenere la prosperità e la liberazione, il Sommo Bene.

Nel corso del tempo, a causa dell'egoismo di coloro che dovevano difendere legge, e la conseguente diminuzione della conoscenza discriminativa, l'ingiustizia divenne più potente e prevalse sulla legge. Volendo mantenere la stabilità del mondo, il Creatore primordiale, che tutto pervade, il Signore (Vishnu), chiamato Narayana, si incarnò e nacque da Devaki e da Vasudeva, come Krishna, al fine di ristabilire la legge divina dei Veda.  Solo se la Legge vedica è preservata, il suo spirito proteggerà la vita delle diverse classi di persone.

Ashtavakra Samhita

Tu non appartieni ai bramini, ai guerrieri né ad altra casta, tu non sei in alcuno stadio di vita, non sei nulla di ciò che i tuoi occhi possono vedere. Sei privo di attaccamento e di forma, il testimone di tutto - [dunque] sii beato, ora. Giusto e ingiusto, piacere e dolore appartengono soltanto alla mente e non ti riguardano. Tu non sei l'agente o il fruitore delle conseguenze [dell'agire]; tu sei sempre libero.

Tu sei l'unico testimone di tutto, completamente libero. La causa della sofferenza è nel ritenere il testimone qualcosa di diverso da questo. Finché sei stato ingannato dal nero serpente dell'opinione di te stesso, hai creduto stoltamente: "io sono colui che agisce"; ora dissetati col nettare dell'evidenza: "io non sono colui che agisce" e da subito sii felice. Brucia la foresta dell'illusione con il fuoco della conoscenza.

Mandukya Karika di Gaudapada

Mi inchino al Brahman che pervade l'universo con l'effusione della conoscenza, che pervade ciò che è mobile e ciò che è immobile, Colui che osserva tutto quello che può essere conosciuto nel mondo grossolano [durante lo stato di veglia], Quello per cui si sperimenta tutto ciò che nasce dal desiderio ed è illuminato dall'intelletto [durante lo stato di sogno], e che riposa nella Sua beatitudine e fa che tutti noi vediamo attraverso la Sua Maya, quello che, nei termini di Maya, è il Quarto [Turiya] e il supremo, immortale e non nato.

Turiya, il Sé dell'universo - che osserva i frutti della virtù e del vizio nel mondo grossolano, che conosce gli oggetti sottili creati dalla Sua intelligenza e illuminati dalla Sua luce e che riassorbe tutto questo gradualmente in Sé, e che abbandonata ogni differenziazione diviene privo di attributi – che possa Egli accordarci la Sua protezione.

श्रुति Śrūti

Ishavasya Upanishad

Il volto della Verità è nascosto da una maschera d’oro; rimuovilo, oh Conoscitore, perché trionfi la verità, perché sia veduto. O Conoscitore, o Veggente, o Ordinatore, Sole Illuminante, o Padre delle creature, apri i tuoi raggi divini, trattieni il tuo ardore, affinché io possa conoscere il tuo volto benedetto. L'essere luminoso che abita in te, quello io sono.

Brhadaranyaka Upanishad

Om! L'aurora è il capo del cavallo sacrificale; il sole è il suo occhio, il vento il suo respiro, il fuoco onnipresente la sua bocca, l'anno il suo corpo. Il cielo è il dorso del cavallo sacrificale; l'atmosfera è la sua pancia, la terra il suo inguine; i punti cardinali sono i suoi fianchi, i punti intermedi le sue coste, le stagioni le sue membra, i mesi e le quindicine le sue giunture, i giorni e le notti le sue gambe, le costellazioni le sue ossa, le nubi le sue carni. La sabbia è il cibo che egli digerisce; i fiumi i suoi intestini, i monti il suo fegato e i suoi polmoni, le erbe e le piante la sua criniera; il sole che si leva è il davanti del suo corpo, dietro il sole che tramonta. Il lampo è il suo ringhio, il tuono lo scuotimento del suo corpo, la pioggia la sua orina, la voce della parola il suo nitrito.
Il giorno, che posa sull'oceano orientale, fu la coppa posta dinanzi al cavallo. La notte, che si trova sull'oceano occidentale, fu la coppa posta dietro al cavallo. Egli fu il Destriero che portò gli Dei, lo Stallone che portò i Gandharva, il Corsiero che portò i Demoni, e infine portò gli Uomini, come fa il Cavallo. Egli è di casa nell'oceano, dove si trova la sua stalla.

Mandukya Upanishad

 

Tutto è contenuto nella sillaba Om.

Il passato, il presente e il futuro non sono altro che la sillaba Om.

Quello che trascende la triade temporale, a sua volta, è l’Om.

Tutto è Brahman.

Il sé è Brahman.

Ecco il Signore supremo, l’onnisciente, il regolatore interno;

esso è il principio, l’origine e la fine di tutti gli esseri.

 

Sri Adi Shankara

Shankaracharya

Vivekacudamani

“Il gran gioiello della discriminazione”  
Istruzione sul discernimento spirituale

1. Rendo onore al sadguru Govinda la cui natura è suprema beatitudine, il quale si rivela mediante l’insegnamento vedantico che è di là dal linguaggio e dalla percezione mentale.
2. Per tutte le creature viventi non è agevole avere una nascita umana, in particolare ottenere un temperamento maschile, più difficile è perseguire il sentiero della devozione vedica, più difficile ancora è acquisire la perfetta conoscenza delle Sacre scritture. Altresì è raro discriminare tra il Sé e il non-Sé e realizzare l’identità del Sé con Brahman. Questo tipo di liberazione perfetta è il risultato di meriti accumulato nel corso di innumerevoli nascite.

Soundarya Lahari, L'Onda della Bellezza

"L'Assoluto è senza forma, ma l'energia è femminile. Quando l'energia prende forma, è chiamata Madre. Madre è la potenza in movimento, che solleva in onde le acque calme dell'Assoluto." Swami Vivekananda

"Non c'è Shiva senza Shakti o Shakti senza Shiva. I due, per loro stessa natura, sono uno. Ciascuno di essi è coscienza e beatitudine." Arthur Avalon

"Shakti è l'energia primordiale latente,  indifferenziata e auto-cosciente, che tutto pervade, che si manifesta per creare l'universo dopo il diluvio o la grande dissoluzione (Mahapralaya). Questa Shakti non è diversa dalla coscienza (Cit), il loro rapporto è di inseparabile unità (Avinabhava Sambandha) come tra il fuoco e il calore, un soggetto e le sue caratteristiche, la parola e significato ecc. In altre parole, uno non esiste senza l'altra." 

Advaita Sadhana

Antologia degli insegnamenti di
Sri Chandrasekharendra Saraswati Swamigal.
Commento del Vivekacudamani di Shankara. [PDF]

Con grande compassione il nostro Acharya Shankara Bhagavatpada ha tracciato il Saadhanaa-kramaM (il metodo della Sadhana) per raggiungere lo scopo dell’Advaita. Tutto ciò che ha fatto è in accordo con la Sruti (i Veda). Il corpo dei Veda ha una testa, le Upanisad. Esse sono chiamate ‘shruti-shira’, che significa ‘la testa della Sruti’. L’alto edificio della Sadhana costruito per noi dall’Acharya è fondato sulle Upanisad.
Egli ha tracciato un programma chiamato ‘Saadhana-chatushhTayaM’ (la Sadhana in quattro fasi). Nel suo monumentale commento al Brahma Sutra fin dall’inizio dice: 'nitya-anitya-vastu-vivekaH' si deve discriminare tra ciò che è reale e cioè che non è reale e nomina la quattro fasi del cammino.
Come il Sutra-Bashya è il culmine dei commenti scritturali, il Viveva-Chudamani è la massima espressione delle opere dette prakarana. In questo testo è data una perfetta definizione delle quattro fasi del Saadhana-chatushhTayaM.

La filosofia di Shankara

La filosofia di Shankara

Questo articolo esamina l'Advaita Vedanta classico di Shankaracharya e alcune questioni basilari di epistemologia e soteriologia. La presentazione rimarrà fedele a ciò che Shankara ha effettivamente detto ed eviterà interpretazioni speculative del suo pensiero, come ad esempio le forme dell'Advaita Vedanta che possono significativamente essere adattate in modo da soddisfare le esigenze degli occidentali moderni. Per la maggior parte ci si riferisce ai commenti di Shankara sul Brahma Sutra e Brhadaranyaka Upanishad, forse i suoi lavori più importanti, con alcuni riferimenti anche ai suoi altri scritti. 

Ascolto, riflessione e meditazione nella pratica dell'Advaita Vedanta

L'analisi mentale dell'Upadesha (insegnamento) attraverso la riflessione costante è l'esercizio detto Manana. Successivamente, quando non esiste più necessità e scopo per ulteriore analisi e discussione, si procede con NidhidhyAsana, che è lo stato in cui la mente è concentrata esclusivamente nell'identificazione con l'atman- tattva, su cui si è giunti a una perfetta chiarezza, e la mente non è scossa da alcun movimento.

La Mente e la funzione dei Mahavakya.

La mente, che è chiamata 'organo interno' (antaHkaraNam), è indicata con quattro nomi in base alle rispettive funzioni: manas, buddhi, chittam e ahamkAra. La funzione del pensiero è conosciuta come manas, che designa l'attività della mente ordinaria, come comportamento, esperienza di piacere, repulsione, reazione e relazione. Quando viene presa una decisione, appellandosi al senso etico, alla verità, al discernimento, è detta buddhi o intelletto. La funzione di memorizzare le esperienze e le informazioni, e di compiere operazioni formali, è chiamata chittam. Il senso dell'io è ahamkAra. 

Devi Mahatmya

 

Durante il Navaratri, in India è tradizione leggere il Devi Mahatmya, suddiviso per i nove giorni (notti) dedicati alla Madre divina. La lettura di questo testo è una pratica devozionale riconosciuta e ricca di insight significativi. Il testo è stato tradotto e curato dai miei studenti durante il Solstizio d'estate 2020, anno apocalittico e insieme straordinario, e quindi da me revisionato commentato durante il Navaratri, per condividere la lettura del testo, a protezione e conforto dei devoti della Madre e di tutti. Lo dedichiamo al Navaratri d'autunno per tutti coloro che cercheranno rifugio nella Sapienza in tempi di angoscia. Adesh Adesh. Jay Ma!

 

Introduzione:

I. ORIGINE E TRADIZIONE DEL CULTO DELLA MADRE DIVINA IN INDIA.

II. IL DEVI MAHATMYA.

Giorno 1: Capitolo I (Madhu kaitabha samhaaram)

Giorno 2: Capitoli II, III, IV (Mahishhasura samhaara)

Giorno 3: Capitoli V, VI (Dhuumralochana vadha)

Giorno 4: Capitolo VII (Chanda Munda vadha)

Giorno 5: Capitolo VIII (Rakta biija samhaara)

Giorno 6: Capitoli IX, X (Shumbha Nishumbha vadha)

Giorno 7: Capitolo XI (Lode di Narayani)

Giorno 8: Capitolo XII (Phalastuti)

Giorno 9: Capitolo XIII (Benedizione di Suratha e Samadhi)


Testo e commento del Devi Mahatmya in PDF

I. I ritrovamenti di Velia.

 

Nel 1958 le spedizioni archeologiche di Pellegrino Claudio Sestieri e Mario Napoli nei territori italiani, dove un tempo sorgeva Velia, misero in luce qualcosa di sconvolgente per il pensiero filosofico contemporaneo. I ritrovamenti erano semplici iscrizioni che testimoniavano la presenza a Velia di un forte culto per Apollo Oulis. Diffuso per lo più nelle regioni costiere dell’Anatolia occidentale – ossia le terre di provenienza dei focei, Apollo veniva pensato e venerato come distruttore che risana e guaritore che distrugge. Gli uomini a cui le tre iscrizioni facevano riferimento erano chiamati guaritori e phōlarchós. L’uomo votato ad Apollo è un guaritore e caso vuole che Asclepio – mitico fondatore della medicina – sia figlio di Apollo. La guarigione non è chiaramente quella che noi oggi comunemente intendiamo, piuttosto in quel contesto significava l’entrare in una dimensione altra rispetto quella vissuta, un livello di consapevolezza tale che è esclusivamente la comunicazione con il divino a guarire.

Phōlarchós è la combinazione di phōleós, rifugio e archós, signore. Il phōleós era il rifugio nel quali gli animali giacevano immobili in uno stato letargico, uno stato di morte apparente. Dunque i Phōlarchós sono i custodi del rifugio come luogo dell’incubazione, ovvero luogo dove si credeva avvenisse la guarigione: le persone dovevano giacere in una condizione di letargia e lasciare che Apollo li penetrasse guarendoli. I Phōlarchós sono i sacerdoti di Apollo, in virtù dei quali è possibile la manifestazione del dio agli uomini.

Due anni dopo, nel 1960, vicino l’edificio nel quale poco tempo prima erano state trovate le iscrizioni con il nome Oulis, venne trovato un blocco di marmo che presentava tracce di un’epigrafe di ringraziamento, le cui parole incise erano: Ouliádēs, Iatromantis, Apollo.

 

La nuova scoperta era davvero la prova che attendevano, ma il frammento di marmo si rivelò fonte di imbarazzo, era qualcosa di cui parlare il meno possibile o piuttosto da dimenticare perché non trovava posto nella mappa delle nostre conoscenze.

 

Il senso è chiaro: l’epigrafe – insieme alle scoperte precedenti – era la testimonianza lampante che la grecità fosse altro rispetto quella che da tempo si credeva che fosse e le origini della cultura occidentale sembravano ormai svelare una forte impronta mistica. I tre termini sono naturalmente strettamente legati: Ouliádēs è “figlio di Apollo”, mentre Iatromantis indica il guaritore di cui abbiamo parlato, ossia che risana in virtù delle sue capacità profetiche.

Velia settembre 1962. Un’altra lastra di marmo: Parmeneides Pyretos Ouliádēs Physikós. È il frammento che tutti attendevano, quello che lega Parmenide ad Apollo, all’incubazione. La grafia corretta Parmeneide – e non Parmenide – era già ipotesi di studio, ma adesso veniva ad assumere una valenza di certo più pregnante. La novità assoluta è però quella di fare di Parmeneide un Ouliádēs, un sacerdote di Apollo, un phōlarchós, un custode del rifugio. E quello che più sconvolge è allo stesso tempo altro, ovvero sia l’attribuzione di Ouliádēs solo a Parmeneide, che la mancata datazione dell’iscrizione, con notevole differenza rispetto le lastre precedenti nelle quali i sacerdoti erano Oulis e datati “a partire da qualcosa”.

Secolo dopo secolo, i guaritori furono considerati suoi discendenti ed era in riferimento a lui che veniva data la linea di successione. Nel mondo antico era prassi usuale calcolare le date risalendo alla vita del fondatore di una stirpe o di una istituzione, a cui veniva riconosciuto il titolo di eroe e come tale era venerato dal momento della sua morte. [...] il fondatore della filosofia occidentale [era] un sacerdote, soprattutto un sacerdote venerato come eroe. (1)

 

“Negli scavi di Velia sono venuti fuori, anni fa, alcune basi di busti e una statua completa; le iscrizioni di queste basi sono molte significative. Una porta il nome di Parmenide: dunque su quella base c'era il ritratto di Parmenide che è stato ritrovato. Parmenide che è presentato non come medico però, ma come physicos, come filosofo naturalista; poi ci sono tre medici, proprio qualificati come iatroi, medici, questi hanno anche un altro termine, physikos, che è un termine che sembra designi una funzione di carattere sacerdotale, di carattere sacrale. Si sono fatte molte ipotesi, ma la cosa importante è vedere questa connessione tra Parmenide e questo gruppo di medici.

 

La cosa interessante è che questi medici e anche Parmenide, su queste iscrizioni, su queste basi, sono designati come ouliadai, vale a dire appartenenti ad un ghenos, ad una gens che riconosceva come suo capostipite un Dio, una forma, un'ipostasi di Apollo, Apollo oulios.

 

Oulios significa il sanatore, il salvatore, il guaritore, e Apollo oulios è una divinità sanatrice nota in tutta l'Asia minore e anche a Kos, anzi proprio nella zona di Kos, dove sorgeva la scuola ippocratica, dove era nato Ippocrate, nello stesso demo (diciamo nella zona, l'isola di Kos era divisa in demoi) in cui era nato Ippocrate sono stati trovati i documenti di questo culto, che fu soppiantato dal culto di Asclepio.

 

Tale culto rappresenta quindi una tradizione pre-asclepica, anteriore all'affermazione di questa divinità della medicina che si impone poi in tutto il mondo greco. Siamo di fronte ad una tradizione medico-sacrale che ha le sue radici proprio nella Ionia e che evidentemente i focei hanno portato con sè.

 

Quest'aspetto di una scuola o meglio di uno sviluppo della scuola di Parmenide in senso medico, come scuola medica, avvicina di nuovo Parmenide e la scuola eleatica alla scuola pitagorica, che ha pure questo sviluppo. I problemi sono infiniti, perché proprio siamo in un' area in cui le testimonianze sono esigue, sono frammentarie. Anche i dati riguardanti Parmenide sono frammentari: noi abbiamo dei versi, dei frammenti del poema di Parmenide trasmessi da altri autori, non abbiamo la continuità del testo.

 

Comunque tutti questi dati favoriscono naturalmente un gioco di ipotesi: si collegano tra loro attraverso ipotesi, attraverso collegamenti con altri dati altrettanto sporadici e frammentari. Nell'insieme vi è una certa coerenza, una certa unità che ridà valore a questa tradizione, perlomeno di un'influenza, di una presenza pitagorica nella formazione culturale di Parmenide.”

 

Giovanni Pugliese Carratelli. Tratto dall'intervista "Parmenide. La storia di Velia" - Roma, Musei Capitolini, martedì 12 aprile 1988 (2)

 

II. La “Via” di Parmenide secondo Peter Kingsley.

 

"La vera origine della filosofia occidentale, di molte idee che hanno forgiato il mondo in cui viviamo, si trova a Velia."

 

Parmenide [di Velia, o Elea] era l'autore d'un solenne poema in esametri, di ispirazione divina, scritto per rivelare agli uomini il mondo degli dei e degli uomini e l'incontro tra gli uomini e gli dei. La prima parte del poema di Parmenide descrive il viaggio del filosofo fino all'incontro con una Dea, senza nome. La seconda parte descrive l'insegnamento della Dea a proposito della realtà. Mentre la terza parte contiene una descrizione di ciò che la Dea stessa definisce menzognero, il mondo in cui noi tutti crediamo di vivere.

Ogni figura incontrata da Parmenide è una donna o una ragazza, anche gli animali che compaiono nel racconto sono di genere femminile, e l'insegnamento è impartito da una Dea. Nota Kingsley: l'universo descritto da Parmenide è femminile; e se questo poema rappresenta il punto di partenza della logica occidentale, allora qualcosa di molto strano è accaduto alla logica, per come è andata a finire.

Il viaggio descritto è dunque un viaggio mitico, viaggio verso il divino con l'aiuto del divino. Non un viaggio qualsiasi. Ma il fatto che sia mitico non significa che non sia reale.

Il viaggio che Parmenide descrive, verso un'altra realtà, è un'esperienza compiuta, non un processo teorico. La sua esperienza di sacerdote di Apollo è un'esperienza pratica, non teorica. Dunque, antichi e moderni che abbiano letto l'insegnamento di Parmenide assumendo che fosse mera teoria e materia di argomentazione mancano di un dato essenziale alla comprensione di Parmenide: l'esistenza, migliaia di anni fa, di una “via” di Parmenide, o uno “stile di vita” Parmenideo. Di questa, possiamo prendere a testimonianza il racconto della morte di Zeno, primo discepolo e successore di Parmenide. Si dice che cadde prigioniero di alcuni abitanti di una zona dell'Italia meridionale, che intendevano difendersi dalla invasioni straniere, e che fu da essi trattenuto e torturato. Nonostante il dolore, Zeno seppe mantenere il silenzio e non tradì i suoi compagni di viaggio. Si dice che proprio nella sofferenza egli “testò le parole di Parmenide” trovandole “pure e vere come l'oro”.(3)

 

Kingsley vede nel poema di Parmenide la narrazione della discesa agli inferi, il "morire prima di morire", come è detto dai grandi iniziati, un discendere desto nel regno dei morti, sulla scorta di Orfeo - tradizione che aveva il suo centro a Velia - esperienza che lo stesso Parmenide avrebbe compiuto. Il viaggiatore è accolto benevolmente dalla Dea che, anche per il fatto che non venga mai nominata, è da identificarsi con Persefone, che gli porge la mano destra.

Al mondo ultraterreno, il Tartaro, può giungere solo l’uomo che sa, l’iniziato ai misteri, colui che conosce ciò che chi rifugge dalla morte ignora.

 

A compiere il viaggio è il koûros, con cui di solito si intende “giovane, ragazzo, figlio” o comunque “persona al di sotto dei trent’anni”; ma la parola è molto antica ed originariamente designava una persona d’animo nobile, o, ancora, l’eroe. Il termine era anche utilizzato per indicare gli iniziati; ovvero il koûros è un uomo che si pone al confine tra il mondo umano e il mondo divino, ad ambedue ha accesso e in ambedue è riconosciuto e amato. Ma tale termine non indica solo tale tipo di uomo; indica anche un dio che sia immagine di un siffatto tipo umano, che personifichi divinamente l’eroe con la precisazione che «il più importante fra i koûrai divini era Apollo. Apollo era il koûros divino, il dio del koûros, il suo modello, la sua immagine e incarnazione universale». In questo contesto si fa importante la provenienza focea di Velia, giacché il culto di Apollo era diffuso nella zone costiere dell’Anatolia occidentale, dove appunto sorgeva Focea. E lì Apollo era venerato con l’appellativo di Oulios, che letteralmente vuol dire “esiziale, distruttivo, crudele”, ma che acquistò anche il significato di “colui che risana”; Apollo era dunque «il distruttore che risana e il guaritore che distrugge». (4)

 

L'incubazione.

 

Dai riti orfici e di Apollo deriva la pratica dell’incubazione, destinata non solo ai malati e a chi li doveva custodire, ma praticata anche da persone che tramite l’estasi raggiungevano un altro livello di consapevolezza ed erano capaci di profetare. La pratica era diffusa a Creta, a Samo (per cui anche Pitagora apparteneva al novero di questi uomini) e a Velia. Il nome che identificava questi profeti era "iatromante", che significava appunto medico, guaritore e profeta. Iatromante era uno degli epiteti di Apollo. (4)

Il termine “incubazione” solitamente si riferisce alla possibilità di essere ricoverati in un luogo in cui si possa restare indisturbati. Può essere una stanza della casa o dentro un tempio, ma talvolta era una grotta o un altro luogo, considerato un punto di ingresso nel mondo sotterraneo. Era uso recarvisi non solo per favorire una guarigione, propria o altrui, ma era decisiva la possibilità di accedere da lì a un altro livello di coscienza, da cui poteva eventualmente provenire una guarigione, ma che era essenzialmente il contatto con un altro mondo, o un contatto con il divino, per ricevere istruzione direttamente dagli Dei.

 

Le antiche testimonianze sulla pratica dell'incubazione descrivono uno stato continuativo, in cui si accede indifferentemente dal sonno o dalla veglia, ad occhi aperti o chiusi. Altresì si dice che è come essere svegli, senza essere svegli, che è come il sonno, senza essere sonno. Né sonno né veglia, non lo stato di sogno, non lo stato di sonno senza sogni. Qualcosa di diverso, uno stato di consapevolezza di cui gli iatromanti erano maestri.

 

Molte testimonianze e pratiche associate alla iatromantica greca hanno un parallelo nelle tradizioni sciamaniche e nello Yoga. Non si tratta di una coincidenza. Ciò che rapidamente sarebbe scomparso o razionalizzato in Grecia, fu preservato e sviluppato in India. Quanto in Occidente rimase un elemento di mistero, riservato agli iniziati, fu oggetto di classificazione e di formalizzazione in Oriente. E lo stato di coscienza che i Greci videro o conobbero - quello che non si può definire sogno, né sonno, né veglia – ha ricevuto la propria definizione. A volte è stato indicato semplicemente come “quarto”, Turiya, poi divenuto più noto come Samadhi. Si è spesso creduto che semplicemente queste tradizioni non si radicarono mai in Occidente, o che se lo fecero furono di scarsa o nessuna importanza per la cultura occidentale. Ma non è così. Parmenide è l'esempio di un autore la cui poesia, ripetuta per secoli senza interrogarsi sui perché e sul metodo, è invece un esempio di conoscenza scaturita da questo tipo di esperienza.

 

Il suono del Silenzio.

 

In tutto il corso del viaggio di Parmenide non vi è descrizione che di un solo suono: quello che il carro produce quando le Figlie del Sole lo fanno partire: un suono sibilante. La parola usata da Parmenide è syrinx, il cui significato si può riferire a uno strumento musicale (siringa o flauto), o a una parte di alcuni strumenti che produce un suono particolare, un fischio, chiamato syrigmos. Ma per i greci, lo stesso termine che indicava il suono prodotto da un fischietto o da una siringa indicava anche il sibilo emesso dai serpenti. Le testimonianze greche della pratica dell'incubazione menzionano ripetutamente alcuni segni che demarcano il punto di ingresso nel mondo ultraterreno, o nello stato di coscienza al di là della veglia e del sonno. Uno dei segni è la percezione di un rapido movimento rotazione. Un altro è il suono di un fischio o di un sibilo. In India si descrivono esattamente gli stessi segni per indicare il preludio all'ingresso nel samadhi, stato che si pone appunto oltre la veglia e il sonno, e sono direttamente collegati al processo noto come risveglio della Kundalini: il “potere del serpente”, o l'energia della creazione, che giace in stato di latenza nell'essere umano. Quando incomincia il suo risveglio si avverte un suono sibilante. I paralleli tra le testimonianze note della tradizione indiana e il racconto di Parmenide sono sufficienti; molti studiosi indiani ne hanno scritto e discusso. Forse era sfuggito il particolare di questo suono menzionato da Parmenide, simile a quello del serpente. Il suono della syrinx era il richiamo al silenzio. E' un dato riconosciuto anche a livello più elementare, che fischiare in direzione di qualcuno sia un modo per richiamarlo al silenzio. Per gli antichi mistici e per i maghi il viaggio verso una realtà superiore si compiva passando attraverso il silenzio. Dunque il suono del fischietto è l'ultima parola d'ordine, il suono del silenzio.

 

L'anelito

 

Lo si vede nelle persone il cui desiderio è riposto nel divino, o in Dio – coloro che vogliono qualcosa che per gli altri neppure esiste. Coloro che desiderano questo e quello corrono sempre il rischio che i loro desideri siano esauditi. Ma quando il desiderio è talmente più grande di noi, non c'è alcuna possibilità di essere soddisfatti. Allora accade qualcosa di veramente strano. Quando ci rifiutiamo di accontentarci di una cosa qualsiasi, l'oggetto del nostro ardente anelito verrà da noi.

Fin dall'inizio del poema Parmenide definisce cosa è necessario possedere per compiere questo viaggio – l'anelito o il desiderio. Se egli può raggiungere la sua meta è perché può giungere “fin dove il desiderio lo ha portato”. Non la volontà, non un particolare sforzo o una lotta: non c'è nulla che si debba fare. Il viaggiatore è semplicemente trasportato, direttamente al luogo dove deve andare. Ed è il suo desiderio a determinare quanto lontano possa avventurarsi.

 

Coscienza ed Esistenza

 

La Dea quindi istruisce il veggente spiegando che qualsiasi cosa esista – cioè sia oggetto di pensiero e percezione – è essere. Ma ancora altro deve essere compreso: che la causa iniziale del pensiero, ciò che lo mette in atto inizialmente, è l'essere. In altre parole ci viene illustrato che che l'oggetto del nostro pensiero e percezione, quale punto finale e obiettivo del processo del conoscere, è identico al punto di partenza. Inizio e fine sono identici, conoscenza e conosciuto.

 

Mêtis è la particolare qualità di intensificata consapevolezza, che spontaneamente diventa consapevole di tutto simultaneamente. Mentre la mente ordinaria si sposta nel suo incessante viaggiare, tale tipo di coscienza è invece sempre a casa, e la sua casa è ovunque. Mêtis sente, ascolta, vede, è consapevole allo stesso tempo di tutto ciò che attraversa il nostro orizzonte di coscienza. Nulla le sfugge. Quando diventiamo coscienti del veduto e dell'udito e delle varie impressioni provenienti dall'esterno, dopo un po' non avvertiamo più le sensazioni visive e auditive separatamente, ma in un insieme unico. Cioè è qualcosa che è esattamente come è sempre stato, ma nel caso specifico è dotato di una perfetta continuità, in cui tutto è unito e non sussistono separazioni o divisioni. E in questa pienezza anche il passato e il futuro incominciano a mescolarsi, poiché non possono più essere separati. Entrambi sono inclusi nel presente. Anche il senso del movimento scompare. Mêtis è talmente rapida nella risposta, e perfettamente cosciente dell'attimo presente, che qualsiasi movimento sarà percepito come fermo. Ma, oltre ciò, invece di essere coscienti di una sedia, o un albero, si è coscienti della percezione di un solo essere: totale, immutabile, perfettamente immobile. Infine, osservando ancora, si scoprirà che invece di essere noi a percepire la realtà, di fatto, è la realtà che sta percependo se stessa attraverso di noi. In questo modo il cerchio si chiude.

 

Dal punto di vista della realtà, nulla è cambiato: e mai potrebbe. E dal punto di vista della strana irrealtà in cui ci muoviamo, anche, nulla è cambiato. Scendiamo le stesse scale, vediamo le stesse facce, dormiamo nello stesso letto. Eppure dal punto di vista dell'individuo che ha assistito alla manifestazione della Dea, la vicenda è molto differente. Poiché nulla è capace di cambiare un essere umano come l'esperienza di uno stato di immutabilità. Il futuro e il passato che erano stati cancellati vengono restituiti. Ma non sono più le realtà indipendenti che sembravano essere: sono invece inseparabili parti del presente. I nomi che abbiamo usato per riferirci a questo o a quello sono ancora perfettamente utilizzabili, se non fosse che invece che applicarsi a un dato numero di oggetti separati, si applicano a una cosa sola. Per chiunque altro la differenza potrebbe essere più sottile di un capello. Ma in senso proprio è pura magia. Improvvisamente, invece di vedere e udire migliaia di cose, ne vediamo o ascoltiamo una sola. E se si è desiderosi di dare a questa esperienza uno di quei nomi che i mortali hanno inventato: tutto è divino. (5)

Beatrice Polidori (Udai Nath), 2012

 

Parmenide, Poema sulla Natura: http://blog.visionaire.org/2012/10/parmenide-poema-sulla-natura/

 

Fonti: 

(1) http://www.emiliosanfilippo.it/?page_id=305 

(2) http://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=134 

(3) http://www.sitosophia.org/recensioni/nei-luoghi-oscuri-della-saggezza-di-peter-kingsley/ 

(4) (5) Peter Kingsley: “In the Dark Places of Wisdom”, “Reality”

 

Altri articoli: 

Elémire Zolla: Iniziati alle porte dell'Ade. L'esperienza sciamanica alle origini della spiritualità d'Occidente

http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/zolla/kingsley.htm 

Roberto Baldini: L’estasi e l’enigma nel poema di Parmenide.

http://www2.unipr.it/~pieri/File%20PDF/L_estasiel_enigma.pdf

La Tradizione degli Yogi

GORAKHNATH E LA TRADIZIONE NATH

 

Adya (il principio maschile primordiale) e Adyā (il principio femminile primordiale) erano i due antichi dei che diedero inizio alla creazione. Successivamente nacquero quattro Siddha, dopo di loro nacque una ragazza, il cui nome era Gaurī. Per ordine di Adya, Śiva la sposò e discese sulla Terra. I nomi di quei quattro Siddha erano Mīnnāth (Matsyendranath), Gorakṣnath, Hāḍiphā (Jalendharnath) e Kānphā. Dal momento in cui furono creati, restarono assorti dalla pratica dello yoga e si sostenevano solo di aria. Goraksh Nath era al servizio di Mīn-nāth e Kanphanath era di Hāḍipā. 

dal Navanath Katha

Goraksha Sataka

La Centuria dei Versi di Gorakhnath

Om! Incomincia la centuria di Goraksha sull'Hata Yoga!
1. Mi inchino al venerabile Guru Matsyendranath, supremo bene, incarnazione della gioia; la cui semplice prossimità trasforma il corpo in pura coscienza e beatitudine.
2. Colui che, in virtù della paatica dell'adhdrbandha e delle altre tecniche posturali, illuminato dalla luce della coscienza, è lodato come Yogi e quale essenza e misura del tempo, degli yuga e dei kalpa, Colui in cui il Signore, oceano di conoscenza e beatitudine, ha preso forma, Colui che è superiore a tutti gli attributi qualitativi, manifesti e immanifesti, questi, Sri Minanath, io saluto devotamente
3. Avendo salutato con devozione il proprio Guru, Gorakhnath descrive la suprema conoscenza, ricercata dagli yogi, che conduce al Bene supremo.
4. Per il bene degli Yogi, Goraksa espone la Centuria di versi la cui conoscenza è il percorso sicuro verso lo stato supremo.
5. Questa è la scala che porta alla liberazione, per cui la mente è distolta dalle gioie dei sensi e si rivolge allo spirito, e con cui si sfugge la morte.

 

SIṢYĀ DARSAN

OṂ. Dall'eterno, l'Om emerge. Dall'Om, lo spazio [ākāś] emerge. Dallo spazio, l'aria emerge. Dall'aria, il fuoco emerge. Dal fuoco, l'acqua emerge. Dall'acqua, la terra emerge. La forma della terra è la bellezza della Dea. La forma dell'acqua è l'aspetto di Brahma. La forma del fuoco è la maya di Vishnu. La forma dell'aria è il corpo di Dio. La forma dello spazio è l'ombra del Suono [Nad] La forma del Suono emerge dall'eterno.

ABHAI MĀĀTRĀ JOG

OM. Il lignaggio dei Perfetti, la via della saggezza, la vera terra, la postura naturale e il respiro, la medicina filosofale del respiro yogico, la grotta dell'autocontrollo, l'astinenza come perizoma, il decoro come cintura di castità, l'unità trascendente come scialle di meditazione, l'unione, l'Uddhiana Bandh, il vero mudra, la virtù come abito, il perdono come cappello, l'ardore come supporto, l'introspezione come sacca delle elemosine, la pazienza come bastone, la discriminazione come spada, la pratica ascetica come ruota, il chakra radice come ciotola per l'acqua, la mente come acqua, l'elisir come cibo, la compassione, la meditazione del segreto, il discernimento come libro, la lingua come alchimia...

 

Adesh Adesh

Quando due Yogi Nath si incontrano, usano la parla आदेश (Ādeśa)per rivolgersi l'un l'altro il saluto. Nel dizionario Sanscrito o Hindi troveremo che la parola ādeś si traduce come ordine, legge, comando o istruzione, ma i Nath associano a essa un significato molto più ampio.

La parola ādeśa è composta di due parti: आदः (ādaḥ), e ईश (īśa), dunque ādaḥ + īśa = Ādeśa. आदः (ādaḥ) significa ricevere o essere legati a, mentre ईश (īśa) significa signore, padrone, ed è anche uno dei nomi di Shiva; inoltre esprime anche eccellenza, abilità, potere. I Nath ritengono che fu Shiva stesso il fondatore del loro ordine, con il nome di आदिनाथ (Ādi Nātha), "Il Primo Nath", "Il Maestro Primordiale", che è unanimemente accettato dagli Yogi come Adi Guru (Primo Guru) e la Divinità sovrana del Nath Sampradaya. E' detto anche Yogeshvara (il Signore dello Yoga) l'ideale ascetico stesso, signore di austerità e penitenza, Signore degli spiriti e delle anime. Nel senso più ampio, Adi Nath si può tradurre come "il Signore Primordiale", nel suo ruolo di Signore di tutto il creato.

GORAKSHA VACANA SAMGRAHA.

Le istruzioni di Gorakhnath. 

1. Alcune persone desiderano la non dualità, altri desiderano la dualità. Ma non troveranno la Realtà, che è sempre e ovunque la stessa, diversa dalla dualità e dalla non dualità.
2. Se il Dio (Shiva) a cui tutto va è immutabile, pieno, indiviso, allora oh! La maya, la grande illusione, le false nozioni di dualità e non dualità.
3. Si dice che il supremo Brahman sia libero dall'esistenza e dalla non esistenza, libero da distruzione e generazione, al di là di ogni concezione.
4. Coloro che conoscono la Realtà lo conoscono come infinito spazio, vera conoscenza e beatitudine, ignoto al ragionamento e all'esempio, al di là della mente, dell'intelletto e delle altre funzioni.
5. Shakti è inerente a Shiva, Shiva è inerente a Shakti. Si deve riconoscere che non c'è differenza tra essi, come tra la Luna e la sua luce.
6. Quindi Shiva senza Shakti non potrebbe fare nulla. Ma dacché è unito al suo potere (shakti), è causa di tutte le forme sensibili.
7. Dotato di infinita Shakti, Shiva perpetua il manifestarsi di tutte le forme, eppure rimane uno solo, senza secondo, nella sua propria forma.

Adi Nath, Matsyendra Nath e Goraksh Nath. L'origine della tradizione Nath.

Da tempo l'India è riconosciuta come un importante centro della vita spirituale, che ha esercitato grande influenza sullo sviluppo di tutta la civiltà umana. La storia del paese è stata sempre segnata dalle storie di diversi grandi santi, Siddha e MahaYogi, che appaiono di volta in volta a guidare l'umanità verso ideali più alti, grazie all'esempio delle loro vite illustri.

Alcuni aspetti degli insegnamenti dei Nath

La posizione metafisica dei Nath non è monista né dualista. E' trascendente nel più vero senso della parola. Essi parlano dell'Assoluto (Nath), al di là delle opposizioni implicite nei concetti di Saguna e Nirguna, o di Sakara e Nirakara. Perciò, per essi il fine supremo della vita è realizzare se stessi come Nath e restare eternamente radicati al di là del mondo delle relazioni. La via per conquistare tale realizzazione è detta essere lo yoga, su cui investono molta energia. Sostengono che la Perfezione non si posa raggiungere con altri mezzi, se non con il sostegno della disciplina dello yoga.

I Siddha e la Via del Rasa

Un Siddha è qualcuno che si dice abbia raggiunto poteri sovrumani (Siddhi) o un Jivanmukthi, un liberato in vita. Il termine potrebbe anche essere tradotto come il raggiungimento della perfezione o dell'immortalità. Tale Siddha dotato di un corpo divino (divyadeha) è Shiva stesso (Maheshvara Siddha). È il perfetto, che ha superato le barriere del tempo, dello spazio e dei limiti umani. Un Siddha nella sua forma idealizzata è liberato da tutti i desideri (anyābhilāṣitā-śūnyam), colui che ha raggiunto un'identità impeccabile con la Realtà suprema.

Gorakh Bani

 

Il Gorakh Bani è un poema sapienziale di epoca medievale attribuito a Gorakhnath, composto di 275 strofe, più una serie di composizioni aggiuntive, dette Pada.
E’ un testo dei più misteriosi e affascinanti. E’ il Sabad, la parola spontanea dell’illuminato, lontana dai canoni scolastici vedantini e dello yoga, invece enigmatica e fitta di allegorie ermetiche e di riferimenti alla vita del monaco errante, dello Yogi, del Siddha, e alla sadhana esoterica. Perciò è un testo complesso, anti-intuitivo, ironico, poi beatifico e estatico, a tratti oscuro, comunque veloce, ritmato e vivace.
E’ un poema scritto con l’intento di sfidare l’intelligenza e le aspettative del lettore, e perciò per destrutturare il linguaggio e la mentalità razionale, e con esso il pensiero di chi legge. Il suo scopo è spingere a tuffarsi nell’orizzonte – o nel logos – del siddha, che è l’outsider e il mago, l’enigma in persona, al di là del duale e del non duale: lo Yogi Gorakh è “il fanciullo che parla dal più alto dei cieli”.
Si tratta di un orizzonte di meditazione che è molto radicale rispetto a quelli in voga ai nostri giorni. Il testo offre molti punti letteralmente di appoggio, su cui sviluppare quel percorso di meditazione, come inteso originariamente, su cui lo yogi deve lavorare in autonomia. Si spalanca l’orizzonte della meditazione, in cui approfondire le singole stazioni.

A differenza del sapere religioso, ben noto e reiterato dalla tradizione tra i confini del "villaggio", il sapere che Gorakh incarna non può essere indicato tra le definizioni che sono postulate dai dotti, dalle usanze e dai sacerdoti. Egli è un sapere incarnato e vivente, sempre nuovo, imperituro e rinnovato dall’esperienza che nel tempo è maturata nella coscienza degli yogi che hanno intrapreso lo stesso cammino, che si illuminerà con l’immagine già misteriosamente addotta da Eraclito. “Un fanciullo che parla dall’alto dei cieli”.

La Parola (Sabad) che andiamo a esporre è esoterica, codice e chiave di accesso a un regno e un pensiero differenti. Nessuno può dire di possederla, poiché la sua espressione è il suo stesso occultamento e la sola chiave d’accesso è il risveglio che riesce a suscitare. Il Sabad deve procurare il risveglio della stessa condizione nell’interlocutore, risvegliare il Sabad. Non è un sistema normativo che si possa imporre, non è un’ideologia a cui si possa aderire, non è un argomento che si possa padroneggiare, non è una tesi che si possa confutare o un sistema da applicare alla lettera. Sabad è la libertà della Parola ispirata, dell’esperienza diretta, del cuore di chi parla, il riverbero del suono primordiale incausato. Sabad è il seme stesso che si getta nel terreno del cuore, dove Gorakh "ara il campo". Chi nasce da quel seme è "uno di noi".

 

Testo e commento del Gorakh Bani sono pubblicati su Satsang.it

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