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Dal 2001 Visionaire.org è scritto, illustrato, pubblicato da Beatrice Polidori (Udai Nath)

[Tratto da : Dom Antonio G. Pernety- Le favole egizie e greche svelate e riportate ad unico fondamento]

Quando si conosce la genealogìa d'Osiride, si sa anche della d'Iside sua sposa, inquanto chè questa era sua sorella. Comunemente si ritiene che questa Dea era il simbolo della Luna, così come Osiride era quello del Sole; ma la si riteneva anche come simbolo della Natura in generale, e per la Terra, secondo Macrobio. Partendo da tale concetto, dice questo Autore, la ci rappresentava avente il corpo tutto coperto di mammelle. Apuleio concorda con Macrobio, e ne fa il seguente ritratto: « Una chioma lunga e tolta cadeva ondeggiante sul suo collo divino: aveva sul capo una corona variamente bella nella forma e per i fiori della quale era ornata. Sul davanti, nel mezzo, spiccava una specie di globo, quasi in forma di specchio, il quale proiettava una luce brillante argentea come quella della Luna. A destra ed a sinistra di detto globo stavano due ondeggianti vipere quasi ad incastrarlo e sostenerlo; e dalla base della corona venivan fuori delle spighe di grano. Una veste di finissimo lino la copriva completamente, ed era molto brillante sia per il suo estrèmo candore, sia per il suo giallo zafferanato, ed infine per un color di fuoco tanto vivido, che i miei occhi ne erano abbagliati. Una zimarra rimarchevole per la sua più fonda negrezza, le passava dalla spalla sinistra al disotto del braccio destro, e cadendo con molte pieghe le scendeva sino ai piedi, ed era bordata con fiocchi e svariati fiori, e disseminata di stelle per tutto il tessuto. Nel mezzo, fra le stelle, stava la Luna con i suoi raggi simili a fiamme. La Dea aveva un sistro nella mano destra, e con il movimento che gli comunicava, dava un suono acuto, ma gradevolissimo; con la sinistra sorreggeva un vaso d'oro l'ansa del quale era formata da un aspide, il quale rizzava la testa in attitudine minacciosa; la calzatura che rivestiva i suoi piedi esalanti l'ambrosia, era fatta di un tessuto della palma della vittoria. Questa grande Dea, la dolcezza dell'alito della quale sorpassa tutti i profumi dell'Arabia felice, si degnò parlarmi in questi termini: Io sono la Natura Madre delle cose, padrona degli elementi: il cominciamento dei secoli, la sovrana degli Dei, la Regina dei Mani, la prima delle nature celesti, la faccia uniforme degli Dei e delle Dee; son io che governo la sublimità luminosa dei cieli, i venti salutari dei mari, il lugubre silenzio degl'inferi. La mia unica divinità è onorata in tutto l'Universo, ma sotto differenti forme, sotto diversi nomi, e con differenti cerimonie. I Frigi primigenii dell'umanità mi chiamano la Pessinontiana madre degli Dei, gli Ateniesi: Minerva Cecropica; quelli di Cipro: Venere Pafica; quelli di Creta: Diana Dictinna; i Siciliani che parlano tre lingue: Proserpina Stigia; gli Eleusini: l'antica Dea; altri: Giunone; altri: Bellona; alcuni: Ecate; altri: Ramnusia. Ma gli Egizi che sono istruiti dell' antica dottrina, m'onorano con cerimonie che mi sono proprie e convellenti, e mi chiamano con il mio vero nome: la Regina Iside ». Iside va considerata nome principio generale della Natura, e come principio materiale dell'Arte Ermetica. Il ritratto di Iside che abbiamo riportato da Apuleio è un'allegoria dell'Opera, allegoria palpabile per coloro che hanno letto attentamente gli Autori che trattano della stessa. Infatti, la corona di questa Dea ed i colori delle sue vesti indicano tutto in generale ed in particolare. Iside era considerata quale la Luna, la Terra e la Natura. La sua corona formata da un globo brillante come la Luna, l'annunzia manifestamente a tutti. I due serpi che sostengono detto globo sono gli stessi di quelli del quali abbiamo parlato nel capitolo primo di questo libro, dando la spiegazione del monumento l'Errenuleius Ermete. Il globo è anche la stessa cosa dell'uovo dello stesso monumento. Le due spighe che ne sortono indicano che la materia dell'Arte ermetica è la stessa di quella che la Natura impiega per far vegetare tutto nell'Universo.

I colori che sopravvengono a questa materia durante le operazioni non sono forse espressamente indicate dall'enumerazione di quelli delle vesti d'Iside? Una zimarra o lungo abito che colpisce per la intensità del suo nero, " palla nigerrima splendescens atro nitore", covre talmente il corpo d'Iside da lasciar intravedere soltanto in alto un'altra veste di finissimo lino ch'è bianca dapprima, indi color giallo di zafferano e poi del colore di fuoco. "Multicolor bysso tenui pertexta, nunc albo candore lucida, nune croceo flore lutea, nunc roseo rubore flammea". Apuleio, senza dubbio, aveva copiato questa descrizione da qualche Filosofo, poiché i Filosofi s'esprimono tutti nella stessa maniera su tale argomento. Essi chiamano il color nero, il nero più nero del nero stesso: nigrum, nigro, nigrius. Omero concede un abito simile a Teti, allorquando questa si dispone ad andare a sollecitare i favori e la protezione di Giove per il proprio figlio Achille (Iliade, 1. 24, v. 93); e questo Poeta dice che non v'era al mondo un abbigliamento più nero di quello indossato da Teti. Il color bianco succede al nero, quello di zafferano al bianco, ed il rosso a quello di zafferano, precisamente come dice Apuleio. [..] Pare che Apuleio abbia voluto dirci che tutti questi colori si originano l'uno dall'altro; che il bianco è contenuto nel nero, il giallo nel bianco ed il rosso nel giallo; ed è perciò che il nero copre gli altri. Mi si potrebbe obbiettare che forse questa veste nera è il simbolo della notte, e che ciò è sufficientemente evidente per il crescente lunare che si trova al centro fra le stelle dalle quali il tessuto è disseminato; ma faccio osservare che gli altri ornamenti ed attributi non convengono affatto per una tale interpretazione. Non dobbiamo meraviagiarci che sulla veste d'Iside si trovi un crescente, dato che la Dea la si considerava quale Luna; ma poiché la notte impedisce di distinguere i colori degli oggetti, Apuleio avrebbe detto male a proposito che i quattro colori, della veste d'Iside, si distinguevano ed emanavano, ciascuno particolarmente, un così intenso splendore ch'egli ne rimase abbagliato. Del resto questo Autore non fa alcun accenno ne alla notte né alla Luna, ma esclusivamente ad Iside quale principio di tutto ciò che la Natura produce, compito che non s'addice alla Luna celeste, ma esclusivamente alla Luna Filosofica, intatti nella Luna celeste non si nota che il solo color bianco, e non lo zafferanato né il rosso. Le spighe di grano ci danno la comprova che tanto Cerere quanto Iside costituivano uno stesso simbolo; il sistro ed il vaso o secchietto sono le due cose richieste per l'Opera, vale a dire: il lattone Filosofico e l'acqua mercuriale; perché il sistro era comunemente uno strumento di rame e le verghette che lo attraversavano erano anche di rame e talvolta di ferro. I Greci inventarono poi la favola di Èrcole che caccia gli uccelli dal lago Stintalide facendo del rumore con uno strumento di rame. L'uno e l'altro di questi strumenti debbono avere la stessa spiegazione, e ne parleremo nelle fatiche d'Ercole ai quinto libro. Ordinariamente Iside la si rappresentava non solo con il sistro, ma anche con un secchio od altro vaso in mano o deposto vicino ad essa, e ciò per mettere in evidenza ch'essa non poteva far niente senza dell'acqua mercuriale, o quel mercurio che le era stato dato per consigliere. Essa è la terra od il lattone dei Filosofi; ma il lattone nulla può da per sé stesso, dicono essi, se non viene purificato e bianchito mediante l'azoto o l'acqua mercuriale. Per la stessa ragione Iside spessissimo era rappresentata con una brocca sulla testa. Sovente anche con un corno d'abbondanza in mano, per simboleggiare in generale la Natura che tutto fornisce abbondantemente ed in particolare, poi: la sorgente della felicita, della salute e delle ricchezze, tutte cose che si trovano nell'Opera Ermetica.

Nei monumenti Greci la si vede talvolta avvolta da una serpe, oppure accompagnata da tale rettile, perché il serpe era il simbolo dell'Esculapio, Dio della Medicina, e di questa gli Egizi ne attribuivano l'invenzione ad Iside. Ma noi abbiamo più valide ragioni di non ritenerla quale inventrice della Medicina, sebbene come la stessa materia della Medicina Filosofica, od universale, che i Sacerdoti Egizi impiegavano per guarir ogni specie di malattie, senza che il popolo conoscesse come ne con che, dato che la maniera di fare questo rimedio era contenuto nei libri d'Ermete, che i soli Sacerdoti avevano il diritto di leggere, ed erano i soli che li potevano capire perché tutto era velato sotto le tenebre dei geroglifici. Trimegisto stesso ci dice, in Asclepio, che Iside non fu l'inventrice della Medicina, ma che l'inventore ne fu l'avo di Asclepio, cioè Ermete del quale egli portava il nome. Quindi non bisogna credere a Diodoro, e neppure alla tradizione volgare d'Egitto, secondo la quale egli riferisce, che non soltanto Iside inventò molti rimedi per la cura delle malattie, che contribuì infinitamente alla perfezione della Medicina, ma che trovò anche un rimedio capace di procurare l'immortalità, e del quale se ne servì per suo figlio Oro, allorquando questi tu ucciso dai Titani, e lo rese in effetti immortale. Si deve convenir meco che tutto ciò si deve spiegare allegoricamente, e che secondo la spiegazione che ci fornisce l'Arte Ermetica, Iside contribuì molto alla perfezione della Medicina, dato ch'essa era la materia dalla quale si faceva il più eccellente rimedio che si trovi nella Natura. Ma non sarebbe tale se Iside fosse sola, perché necessita assolutamente ch'essa sia maritata con Osiride, poiché i due principii debbono essere riuniti in un sol tutto, così come al cominciamento dell'Opera essi formavano uno stesso soggetto, nel quale erano contenute due sostanze: l'una maschio e l'altra femmina. Il viaggio d'Iside nella Fenicia per andare a cercare il corpo del suo sposo, le lagrime che versa prima di trovarlo, l'albero sotto il quale lo trovò nascosto, tutto ciò è detto seguendo l'Arte Sacerdotale. In effetti, Osiride essendo morto è gettato a mare, vale a dire, sommerso nell'acqua mercuriale, o mare dei Filosofi; Iside versa delle lagrime, poiché la materia ch'è ancora volatile - rappresentata da Iside - s'eleva sotto forma di vapori, si condensa, e ricade in gocce. Questa tenera sposa cerca con inquietudine suo marito, con pianti e gemiti, e non può ritrovarlo se non sotto un tamarisco; ciò perdio la parte volatile non si riunisce con la fissa se non quando sopravviene la bianchezza; allora è il rosso nel quale Osiride è nascosto sotto il tamarisco,poiché i fiori di quest'albero sono bianchi e le sue radici sono rosse. Quest'ultimo colore è anche più precisamente indicalo dal nome stesso della Fenicia: rosso, il colore della porpora. Iside sopravvisse a suo marito, e dopo aver regnato gloriosamente, fu messa nel novero degli Dei. Mercurio decise il suo culto, come aveva stabilito quello d'Osiride. Poiché nella seconda operazione chiamata seconda opera, o seconda disposizione da Moriano; la Luna dei Filosofi o la loro Diana, o la materia al bianco simboleggiala pure da Iside appare un'altra volta dopo la soluzione o la morte d'Osiride, è per questo che la si messa nel rango degli Dei; ma degli Dei Filosofici, poiché essa è la loro Diana o la Luna,si comprende perché s`attribuisce questa deificazione a Mercurio.

Alcuni Autori insistono nel ritenere storiche queste allegorie, e quindi Osiride ed Iside personaggi realmente vissuti. Ricopio qui una iscrizione riportata da Diodoro e che riflette Osiride:
«Io sono il figlio primogenito di Saturno, uscito da un ramo illustre e da un generoso sangue, privo affatto di seme. Non vi è alcun luogo dove io non sia stato. Ho visitato tutte le Nazioni per insegnare ad esse tutto ciò di che sono stato l'inventore ».
Non credo che si possa attribuire a nessun Rè d'Egitto tutto ciò che reca questa iscrizione. Particolarmente a generazione senza seme, mentre anche quest'ultimo allegorico processo lo si trova nell'Opera Ermetica, ove s'intende per Saturno il color nero dal quale nascono il bianco od Iside, ed il rosso od Osiride; il primo chiamato Luna, e il secondo Sole od Apollo. Così non resta meno difficoltoso, ed anzi è piuttosto impossibile poter applicare ad una Regina la seguente Iscrizione trascritta da una colonna di Iside, e riportata dallo stesso Diodoro:
« Io Iside, sono la Regina di questo paese d'Egitto, ed ho avuto Mercurio per Primo Ministro. Nessuno potrà revocare le Leggi ch'io ho fatte, ne impedire l'esecuzione di ciò che ho ordinato.
« Sono la figlia primogenita di Saturno, il più giovane degli Dei.
« Sono sorella e sposa d'Osiride.
« Sono la madre del Re Oro.
« Sono la prima inventrice dell'Agricoltura.
« Sono il Cane brillante fra gli Astri.
« La città di Bubaste è stata edificata in mio onore.
« Rallegrati o Egitto, che m'hai nutrita ».

Ma se la si interpreta riferendola alla materia dell'Arte Sacerdotale, confrontando queste espressioni con quelle dei Filosofi Ermetici, le si riscontreranno talmente conformi che si sarà obbligati di convenire che l'Autore di questa Iscrizione ha tenuto di mira lo stesso oggetto dei Filosofi. Diodoro afferma che al suo tempo non si poteva leggere più di quanto ne sia riportato perché il tempo ne aveva cancellato il resto. Ed aggiunge che non è neppure possibile ottenere alcun chiarimento al riguardo, dopodiché i Sacerdoti custodiscono inviolabilmente il segreto su ciò ch'è stato loro confidato, preferendo meglio che la verità sia ignorata dal popolo, anziché correre il rischio di subire le pene imposte a coloro che divulgherebbero questi segreti Ma rifacciamoci la domanda: quali erano dunque questi segreti così fortemente raccomandati? Coloro che unitamente a Cicerone affermano che consisteva nel non palesare che Osiride era stato un uomo, hanno ben ponderato quello che dicono? La pretesa condotta tenuta da Iside nei confronti dei Sacerdoti, da se sola era atta a tradire questo segreto, e quella dei Sacerdoti verso il popolo lo scopriva ancora maggiormente. Macché! mi si vorrà far credere che Osiride non fu mai un uomo, e mi si mostra la sua tomba? Temendo anche ch'io non dubiti della sua morte, e come se non si volesse ch'io la perda di vista, si moltiplicano dette tombe? Ogni Sacerdote mi afferma che ne è il possessore? Confessiamo sinceramente che questo segreto sarebbe mal concertato. Ma quale necessità, dopo tutto, di questo segreto inviolabile a riguardo della tomba di un Rè ardentemente amato dai suoi sudditi? Quale interesse per occultare la tomba d'Osiride? Se si dicesse ch'Ermete avesse consigliato ad Iside d'occultare la tomba del marito, onde evitare al popolo una occasione d'idolatria, poiché egli prevedeva che il grande amore che il popolo aveva concepito per Osiride, a cagione dei benefizi che ne aveva ricevuti, avrebbe potuto condividerlo ad adorarlo per riconoscenza; questa considerazione sarebbe stata conforme alle idee che dobbiamo avere della vera pietà di Ermete.

Ma Iside lungi dall'occultare questa tomba, ma facendone una per ogni brandello del corpo d'Osiride e decisa a persuadere che ognuna di dette tombe custodiva l'intero corpo del suo sposo, questo non sarebbe, al contrario, come moltiplicare la pietra dello scandalo e dell'inciampo? La Santa Scrittura c'insegna che Giosuè tenne ben altra condotta verso gl' Israeliti, alla morte di Mosè, per impedire, senza dubbio, che gli Ebrei imitassero gli Egiziani in questo genere d'idolatria. Perciò non si faceva un segreto della tomba d'Osiride onde occultare al popolo la pretesa umanità di questo Dio; ma se si proibiva, sotto la minaccia di pene rigorose, di dire che Iside e il suo sposo erano stati degli uomini, si è perché effettivamente essi non lo furono affatto. Questa proibizione la quale non concordava per nulla con la pubblica dimostrazione della loro tomba, avrebbe dovuto far supporre un qualche mistero nascosto sotto questa evidente contraddizione, ed anche il gran segreto che osservavano i Sacerdoti, avi ebbe dovuto suscitare la curiosità. Ma il popolo non pensa di fondare scrupolosamente le cose, ma le prende tal quale le si propinano senza bene esaminarle. [...]

I Sacerdoti istruiti da Ermete, quindi, avevano ben altro scopo anziché quello della Storia, con la quale non possono ammettersi tutte le differenti qualificazioni di madre e figlio, di sposo e sposa, di fratello e sorella, di padre e figlia che si trovano nella leggenda d'Osiride e d'Iside attraverso le varianti della stessa; mentre invece tali differenti qualificazioni convengono molto bene all'Opera Ermetica, quando si prende a considerare l’unica sua materia sotto i diversi aspetti. [...] Se Iside quindi mantiene il giuramento, si è che dopo la soluzione perfetta, designata dalla morte, essa non può affatto, mediante alcun artificio, essere separata da Osiride.

In seguito vedremo il perché si dice che essa venne inumata nella foresta di Vulcano. Intanto si sappia che la inumazione Filosofica è la fissazione, vale a dire il ritorno delle parti volatili e la loro riunione con le parti fisse ed ignee dalle quali erano state separate; ed è perciò che si dice che Iside ed Osiride sono nipoti di Vulcano. Da quanto abbiamo detto sin'ora desta sorpresa che si sia supposto che Osiride ed Iside avevano in grande venerazione Vulcano e Mercurio? Si ritiene Mercurio quale inventore delle Arti e dei caratteri geroglifici, poiché Ermete li ha inventati a riguardo del mercurio Filosofico. Egli ha insegnato la Rettorica, l'Astronomia, la Geometria, l'Aritmetica e la Musica, per mostrare la maniera come parlare dell'Opera, degli astri che vi sono contenuti, delle proporzioni, dei pesi e delle misure, che necessita osservare per imitare la Natura. Ciò ha fatto dire a Raimondo Lullo: « La Natura racchiude in sé stessa la Filosofia e la scienza delle sette arti liberali; essa contiene tutte le forme geometriche e le loro proporzioni; completa tutte le cose mediante il calcolo aritmetico, con l'eguaglianza d'un numero prestabilito, e mediante una conoscenza ragionata e rettorica porta l'intelletto dallo stato di potenza in atto».

Ecco come Mercurio fu l'interprete di tutto e servi da consigliere ad Iside, la quale nulla poteva fare senza di Mercurio il quale è la base dell'Opera e quindi senza di esso nulla si può fare. Ma abbandonando il senso Ermetico, non si può poi ragionevolmente attribuire a Mercurio od Ermete l'invenzione di tutto, perché si sa che le arti erano note già prima del Diluvio, e dopo il Diluvio la Torre di Babele ne è una riprova. Iside, secondo Diodoro, fece fare dei templi tutti d'oro "delubra aurea" in onore di Giove e degli altri Dei. Ma in qual luogo del mondo ed in qual secolo la storia ci riferisce che se ne sia elevato un tempio simile? Mai l'oro delle miniere fu tanto comune come lo è oggidì, eppure malgrado questa abbondanza qual'è il popolo ch'abbia potuto soddisfare tale costruzione? Che alle volte non si sia voluto dire che tali Templi erano della stessa natura degli Dei che ospitavano? E non è forse da credere che con tali Templi ci si riferiva ai Templi ed agili Dei Ermetici, vale a dire: alla materia aurifica ed ai colori dell'Opera ch'Iside in effetti fondò dato ch'essa è la materia stessa? Per questa stessa ragione si dice che Iside aveva in grande considerazione gli Artisti orafi, e degli altri metalli. Essa era una Dea d'oro: la Venere aurea di tutta l'Asia.

Dom Antonio G. Pernety- Le favole egizie e greche svelate e riportate ad unico fondamento - traduzione curata da Giacomo Catinella - 1936

 

 

 

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